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 2020  aprile 28 Martedì calendario

I migranti in quarantena sul traghetto della Tirrenia

Non c’era posto migliore per ambientare una storia d’altri tempi. Quella di 183 naufraghi neanche sfiorati dal virus, eppure tenuti al largo come corsari colpiti da una pestilenza. A fine ‘800 magari l’avrebbe raccontata Emilio Salgari. Oggi ci vorrebbe l’ironia irriverente di un Camilleri. Perché il confino per gli untori d’Africa si raggiunge dopo aver percorso un paio di miglia dalla costa. Dopo la dichiarazione di porti chiusi, i migranti soccorsi dalle navi umanitarie sono stati trasbordati sul traghetto della Tirrenia.
La Alan Kurdi e la Aita Mari sono entrambe ormeggiate a poca distanza per far scontare la quarantena ai soccorritori. L’involontaria sorveglianza delle Ong, mentre intorno girano motovedette non troppo diverse da quelle regalate ai libici, rassicura i migranti come se i loro salvatori non se ne andranno fino a quando la missione non sarà davvero compiuta, con il definitivo sbarco sulla terraferma.
Con i suoi 180 metri la nave Rubattino pare un’arca d’acciaio. Possente e appena dinoccolata dal viavai della corrente, galleggia come in un tempo sospeso dall’incantesimo del Monte Pellegrino, che domina la baia di Palermo con l’aria malinconica di una sentinella a cui non danno mai il cambio. Per guadagnare l’energica presa dei marinai che ti buttano dentro al frastuono del vano sopra la sala macchine, bisogna arrampicarsi su una biscaggina aggrappata in verticale alla piccola uscita di servizio, a due piani d’altezza dal rimuginare del mare. Accettando di gestire la quarantena, a patto che non vi fossero militari né agenti, la Croce rossa ha voluto non lasciare che si improvisasse l’assistenza a bordo. All’organizzazione non andrà che il rimborso delle spese di vive, niente retta pro-capite. Ma la gestione dell’intera operazione, per un traghetto di 31mila tonnellate e 40 uomini d’equipaggio, difficilmente costerà meno di 40mila euro al giorno.
Dei 183 migranti, due sole donne e 44 minori, nessuno è positivo al Coronavirus. Lo stesso per i 26 operatori della Croce rossa e i 40 marinai della Tirrenia. Nonostante questo l’ordine di sbarco tarda ad arrivare, così come le notizie su un’eventuale redistribuzione in Europa. «Stiamo tutti vigilando che questa misura non si protragga nemmeno un mi- nuto in più dei 14 giorni previsti: oltre quella scadenza una situazione già difficilmente giustificabile diventerebbe del tutto insostenibile», avverte Alessandra Sciurba, giurista dell’Università di Palermo e presidente di Mediterranea. Domenica scorsa Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa italiana e della Federazione internazionale, è salito a bordo insieme a Emilia Scarcella, l’Ispettrice nazionale del corpo delle infermiere volontarie dell’organizzazione, con il presidente regionale della Cri Luigi Corsaro.
A bordo sembra non ci sia niente che non vada bene. Ma nessuno può prevedere le reazioni al disagio di chi dal momento in cui ha preso il mare in Libia ha già trascorso quasi tre settimane senza toccare terra. La meta, il suolo europeo, è lì a un passo. E osservata dal ponte panoramico, lo sperone sulla spiaggia di Palermo sembra di poterlo raggiungere con un paio di buone bracciate. È già successo altre volte, su quasi tutte le navi umani-tarie, che a un certo punto qualcuno dei migranti, tra esasperazione e incoscienza, si gettasse in acqua. Anche a questo lavorano gli psicologi della Croce rossa. «Siamo salvi, ci trattano bene e ci hanno detto che appena completiamo la quarantena ci verrà comunicato dove dovremo scendere», spiega uno dei 44 minorenni non accompagnati. È ivoriano, dice di avere 15 anni, ma ne dimostra di meno. La sera prima ha pianto quando finalmente dopo vari tentativi è riuscito a parlare con i suoi genitori: «In Libia, a Zuara, ci tenevano come prigionieri e per tre mesi la mia famiglia non ha saputo niente di me».
La quotidianità segue protocolli sanitari e ritmi scanditi dalla regola del distanziamento sociale e dai tempi del Ramadan. Ci si può allontanare dalle cabine solo negli orari stabiliti per sgranchirsi all’aperto, giocare a dama dalla distanza di oltre un metro, informarsi sull’iter per richiedere asilo. Alcuni si attardano nell’osservazione delle carti- ne. Con lo sguardo già studiano i percorsi fino all’Europa del Nord. L’accesso ai corridoi di moquette blu è consentito solo agli operatori della Croce Rossa, debitamente coperti di tuta per l’isolamento. I saloni normalmente aperti ai passeggeri sono preclusi. «I naufraghi andranno comunque portati a terra – ha detto in una intervista a Radio Radicale il senatore Gregorio De Falco, già comandante di capitaneria di porto –. Questa è un’operazione ipocrita perché se poi a bordo fosse stato trovato qualche caso di Covid, certamente le cure necessarie non potevano che essere eseguite a terra». Per non dire che «le navi quarantena – osserva ancora Sciurba – rafforzano un immaginario di separazione e presunta pericolosità delle persone migranti, mentre garantire la quarantena in centri di accoglienza diversi dagli hotpost sarebbe stato molto più semplice e infinitamente meno costoso».