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 2020  aprile 26 Domenica calendario

Il culto del feto tra verità e leggende

Non v’è aspetto del mondo sul quale lo sguardo «simbolico» di Homo Sapiens non si posi. Ma fra tutti gli aspetti del vivere, la maternità e la nascita sono quelli principalmente destinati a essere soggetti a innumerevoli significazioni simboliche, a seconda dei tempi e delle culture; poiché da sempre il parto è strettamente connesso al pericolo, costituendo un sottile e angosciante discrimine fra la vita e la morte. 
Sono tanti i popoli le cui usanze impongono, ancora oggi, che durante il parto si celebrino riti apotropaici contro gli spiriti del male. E ancora alla fine del secolo scorso, in Papua Nuova Guinea, in alcune tribù si riteneva che il concepimento avvenisse per opera del fiume, capace di fecondare le donne che vi si bagnano esattamente come la terra che dà frutti. 
Nemmeno il razionale e ipertecnologico mondo “occidentale” odierno sfugge a questa attitudine simbolica: la gravidanza e, in particolare, la vita prenatale del feto sono investiti di una serie di stravaganti “visioni”, che vengono preferite dai più alle conoscenze scientifiche largamente disponibili.
Il culto del feto di Alessandra Piontelli è un libro straordinario, nel quale si cerca di dissipare molte ombre sul tema del concepimento: «La scienza riporta fatti concreti e ristabilisce razionalità in un discorso emotivamente carico, in cui regnano fantasie e miti». L’autrice, psichiatra e neurologa, ha dedicato la sua esistenza alla ricerca in campo fetale e ha avuto un numero incredibile di pazienti fra le donne in gravidanza, non solo in paesi come l’Italia e l’Inghilterra, bensì in molte regioni svantaggiate del mondo, come il Turkmenistan, l’indiano Rajasthan e l’Uganda. 
La sua esperienza scientifica e umana è ora a nostra disposizione in un libro volto a ridimensionare certi atteggiamenti della nostra parte di mondo, confrontandoli con la cruda realtà di mondi “altri”. 
La storia della gravidanza e del feto in Occidente è narrata a partire dagli anni ’60, quando l’attenzione era rivolta tutta al benessere della donna incinta, al punto da arrivare a somministrarle il talidomide contro le nausee mattutine, farmaco rivelatosi nefasto per il nascituro. Negli anni ’80, l’introduzione della tecnica diagnostica degli ultrasuoni – prima in 2D e successivamente in 3D e 4 D – ha prodotto una vera e propria rivoluzione nel modo di sentire l’evento della gravidanza. Improvvisamente il feto, ora visibile nelle varie fasi di sviluppo intrauterino, è venuto alla ribalta, imponendo una nuova mentalità: le donne incinte hanno iniziato a vivere la gravidanza con maggiore disinvoltura, sono state riservate sempre più attenzioni al feto e si sono diffusi modi di partorire più “naturali”, ad esempio in acqua. 
Nei Paesi più ricchi vi è stata una progressiva diminuzione delle nascite, che è diventata ormai inversamente proporzionale all’aumento dell’età riproduttiva delle donne – anche oltre i 50 anni -, all’eccezionale avanzamento delle tecnologie di fecondazione assistita, nonché a una morbosa curiosità sociale per la vita fetale. Il feto è oggetto di rappresentazioni poco realistiche – in ogni genere di documentari, di manuali scritti da non professionisti o nelle romanticherie fotografiche di Anne Geddes – come un liscio e paffuto pargoletto fluttuante in un mondo magico; da lì alle campagne pubblicitarie con feti che indossano occhiali da sole o bevono bibite il passo è breve, perché è proprio su questo genere di immagini che proietta il suo bisogno di futuro e di eternità un’umanità materialista e consumista. 
social sono invasi da post che mettono in piazza le “meravigliose” gravidanze delle celebrities, che allo scadere del nono mese tornano a ostentare fisici perfetti: dal parto “evento” di Angelina Jolie in Namibia, nazione scelta in quanto «terra d’umanità primigenia», alle star che hanno usufruito più o meno apertamente della maternità surrogata, ostentando in pubblico pancioni sintetici. 
Notevole il capitolo centrale, che persegue l’intento scientifico di dissipare una serie di pregiudizi assai diffusi: vi viene spiegata puntualmente tutta una serie di «comportamenti» fetali, presenti anche nelle prime settimane, come lo «sbadigliare», il «giocare» con il cordone ombelicale, lo «svegliarsi» di soprassalto, e tanti altri; essi non possono essere considerati «comportamenti» coscienti veri e propri, bensì solo reazioni istintive a stimoli, adducibili per lo più al tronco cerebrale e non a un’attività neurologica evoluta. 
La prospettiva di Piontelli è ad amplissimo raggio: non manca mai di considerare – attraverso molti, avventurosi, esempi tratti dalla sua personale esperienza – la condizione della gravidanza in altri contesti culturali, nei quali le donne, giovanissime e scarsamente informate, sono socialmente percepite quali mere fattrici, da disprezzare se colpite dall’“infamia” dell’infertilità, e i feti non sono tenuti in alcuna considerazione, così come, purtroppo, anche i neonati.