Il Sole 24 Ore, 26 aprile 2020
La storia millenaria dei profumi
Se vi capita di sfogliare il libro di Edward Godfrey Atchley, A History of the Use of Incense in Divine Worship, uscito a Londra nel 1909 e di tanto in tanto ristampato (lultima edizione, Andesite Press, è del 2015), che tratta appunto l’uso dell’incenso nel culto divino, rimarrete meravigliati del fatto che i cristiani cominciarono a effonderlo nelle liturgie verso la seconda metà del IV secolo. Prima è presente nei funerali («ad solatium sepulturae», testimonia Tertulliano) e qualche secolo avanti Cristo veniva utilizzato nei rituali orfici. L’impiego sacro è antecedente, forse cominciò nell’VIII secolo, quando si riempiva la vittima con incenso per renderla gradita agli dei.
L’uso moderno, poi codificato dalla liturgia cattolica, dovette iniziare verso la fine del primo millennio. I fedeli cominciarono ad assistere all’incensazione dell’altare, delle reliquie, del sacerdote, delle dignità, dei fedeli, di oggetti venerabili o di pietà (Vangelo, immagini sacre, candele, palme ecc.). Né va dimenticato che tale pratica nelle celebrazioni ha causato controversie politiche, per le precedenze tra le autorità o i diversi rappresentanti. Insomma, una storia infinita cominciata prima dei Magi, che portarono incenso in dono al Bambino, e che per i greci era “líbanos”, per la tarda romanità “incensum” (ovvero participio passato neutro sostantivato di “incendere”) e nel latino medievale “olibanum”.
Tutto questo ci è venuto alla mente sfogliando la seconda edizione aggiornata (la prima uscì nel 2010) del libro di Giuseppe Squillace dedicato a Il profumo nel mondo antico, dove è contenuto il breve trattato di Teofrasto Sugli odori (tradotto con greco a fronte) e una serie di testi su essenze, profumi, vini aromatici, oli speciali ecc. che si trovano in Platone o nei lirici greci, in Plinio il Vecchio o Ovidio (nelle Metamorfosi ecco il gradevole nidore che scorta i miti). C’è una deliziosa prefazione del noto creatore di fragranze Lorenzo Villoresi, il medesimo che ha fondato a Firenze l’omonimo museo interamente dedicato al profumo, inaugurato il 1° giugno del 2019.
Ci si perde in queste pagine tra le sostanze aromatiche: non soltanto incenso, ma anche nardo, cinnamomo, rosa, zafferano, maggiorana, cardamomo, cassia e ovviamente mirra (di nuovo i Magi, con un altro dei loro doni). Teofrasto (IV-III secolo a. C.) nel piccolo trattato, nota Villoresi, «per la prima volta affrontava il mondo degli odori in modo scientifico». D’altra parte, codesto allievo di Aristotele «fu il primo a trattare il tema della composizione di un profumo e della sua creazione da un punto di vista artistico». Non a caso, Teofrasto parla di «combinazione delle essenze», ponendo il problema degli ingredienti naturali.
Le sue osservazioni recano contributi anche per la conoscenza dei costumi. Esempio: si legge al paragrafo 45 che «a quanti indagano sulla proprietà dei profumi potrebbe apparire strano quanto avviene con il rhodinon. Infatti, sebbene sia più leggero e debole, tuttavia distrugge le altre fragranze delle quali una persona si sia in precedenza cosparsa. I profumieri perciò ungono con esso i clienti indecisi e intenzionati a non comperare nulla presso di loro, affinché essi non riescano a sentire alcunché presso i profumieri concorrenti».
Argomento magnifico anche se di natura evanescente, da esso ci congediamo con gli storici Batone e Aminta, che in due frammenti rimasti sulle spedizioni di Alessandro e sull’Asia riferiscono: «Il popolo dei Tapiri era così amante del vino da non utilizzare altro se non vino come profumo».