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 2020  aprile 26 Domenica calendario

«Non siamo tutti uguali». Intervista a Alice Walker

A fine marzo, in un video realizzato dalla sua vasca da bagno, Madonna ha offerto al mondo il proprio punto di vista sull’emergenza sanitaria. Il Covid-19, ha detto la star, circondata da petali di rosa sparsi nell’acqua, è «il grande equalizzatore: non gli interessa quanto ricco, famoso, simpatico o intelligente tu sia. Non gli interessa dove vivi, quanti anni hai o quali storie fantastiche sei in grado di raccontare, la cosa terribile è che ci rende tutti uguali». Secondo Madonna, ognuno di noi ha la stessa possibilità di essere colpito dal virus. Il video, postato su Twitter e Instagram, è stato rimosso poco dopo per via della reazione indignata. Ai primi di aprile, Andrew Cuomo, governatore democratico dello Stato di New York, ha fatto eco alla cantante: «Tutti noi siamo in balia del virus. Non importa quanto intelligente, quanto ricco, quanto potente pensi di essere, non importa che tu sia giovane o anziano. Questo virus è il grande equalizzatore».
La realtà ha dimostrato il contrario. Le vittime del Covid-19 negli Stati Uniti sono soprattutto i poveri, chi non è coperto da un’assicurazione sanitaria, chi convive con malattie che sono la conseguenze di decenni di politiche discriminatorie. Il prezzo più alto lo pagano gli afroamericani. In Louisiana, i neri rappresentano il 33 per cento della popolazione e il 70 per cento dei morti da Covid-19; in Michigan, duemila chilometri più a Nord, sono il 14 per cento della popolazione e il 40 per cento delle vittime; a Chicago, la comunità sta vivendo settimane drammatiche: il 72 per cento dei morti sono afroamericani, nella maggioranza uccisi dalle complicazioni seguite al contagio. Diabete, asma, problemi cardiovascolari e obesità – le piaghe della comunità afroamericana – sono una condanna a morte al tempo del Covid-19. Le fotografie aeree delle fosse comuni di Hart Island, New York, hanno commosso il mondo. Lì vengono seppelliti i morti da Covid-19 non reclamati da parenti o amici. Sono i dimenticati dell’America che non possono permettersi un funerale – tra questi, un numero alto di afroamericani e di senza tetto. Per oltre 150 anni quest’isola, vietata al pubblico, è stata usata per sotterrare un milione di uomini e donne senza nessuno e la loro memoria.

Nel tempio di voci ribelli della letteratura americana, Alice Walker occupa un posto di rilievo. Premio Pulitzer per Il colore viola (1982) – storia drammatica di abusi e violenze nel Sud segregazionista – Walker (9 febbraio 1944) affida a «la Lettura» le proprie considerazioni sull’emergenza sanitaria, con una particolare attenzione alla comunità afroamericana. L’abbiamo raggiunta al telefono nella sua casa di Mendocino, California, dove è rientrata da poco dopo un viaggio in Messico, Paese in cui ama trascorrere lunghi periodi.
«Quando l’America bianca prende il raffreddore, l’America nera si ammala di polmonite». Questo detto afroamericano ha un’attualità drammatica.
«Dopo essere stati ridotti in schiavitù per secoli, secondo la legge avremmo dovuto ricevere “quaranta acri di terra e un mulo” (Forty acres and a mule). Non è mai successo. Quando ci hanno liberati non avevamo niente, non avevamo cibo e non avevamo vestiti. Ci hanno abbandonati nel mezzo dell’inverno. Era impossibile ricostruire un’esistenza dignitosa. È per questo che le comunità afroamericane sono ancora così povere, molto più povere degli immigrati europei arrivati decenni più tardi. Molti neri non possiedono una casa e non hanno medicine per affrontare un disastro come quello che stiamo vivendo. E così l’America bianca prende il raffreddore mentre l’America nera muore di polmonite».
Il Covid-19 porta alla luce antiche discriminazioni e divisioni sociali. Che cosa ci sta insegnando questa nuova pandemia?
«Il virus colpisce in maniera sproporzionata le comunità povere, soprattutto chi non ha una copertura sanitaria e un tetto sotto cui dormire. Chi non può permettersi di essere curato in ospedale paga il prezzo più alto. È una vecchia storia. La società americana è impregnata di razzismo, da sempre. Thomas Jefferson, il presidente che ha scritto la Dichiarazione d’Indipendenza, ha avuto sei figli con la sua schiava, Sally Hemings. Nonostante quei bambini avessero i capelli rossi come lui, per anni molti si sono affrettati a dire che Jefferson non poteva avere avuto figli da una schiava. L’uomo bianco odia le persone di cui ha abusato».
Nel 2019, lo scrittore Ta-Nehisi Coates ha sostenuto davanti al Congresso degli Stati Uniti la causa dei risarcimenti per i discendenti degli schiavi. Condivide la sua battaglia?
«Sì, è una battaglia cruciale. Se gli afroamericani possedessero quello che possiede una parte di mondo privilegiato potrebbero condurre un’esistenza dignitosa».
Invece, molti di loro sono il primo bersaglio del virus.
«Il Covid-19 è uno dei tanti virus che affliggono la mia comunità. Ogni cosa può essere un virus: quando sei costretto a dormire su un marciapiede o sei malnutrito, quando non ti puoi permettere una spesa al supermercato, quando la tua dieta è un rischio per la salute. Il coronavirus non può essere usato per giustificare tutto. Bisogna considerare le condizioni in cui le persone erano costrette a vivere prima che il virus le uccidesse. Se avessimo un sistema sanitario decente molti non sarebbero morti. Forse non si sarebbero neppure ammalati».
Come giudica la risposta dell’amministrazione Trump all’emergenza?
«Terribile. Non è possibile definirlo un governo, questo. Non credo abbiano la minima idea di come affrontare il virus. Non credo sappiano neanche come studiarlo. Studiare sarebbe già un grande miglioramento per il mio Paese. Gli americani hanno votato un uomo che tratta le donne come oggetti. Come può, Trump, essere una guida nel mezzo di una crisi?».
Che cosa andrebbe fatto?
«Lo ripeterò sempre: sanità accessibile a tutti, è un diritto in quanto esseri umani. Se sei malato, devi avere la possibilità di essere visitato da un medico. Spendiamo miliardi per bombardare altri Paesi quando una piccola frazione di quei soldi potrebbe essere usata per potenziare il welfare».
Lei si definisce antisistema, più volte ha ripetuto di non avere fiducia nella politica. C’è, tuttavia, qualcuno a cui si affiderebbe in questo momento?
«Bernie Sanders».
Che cosa gli chiederebbe?
«Gli chiederei, innanzitutto, in che modo posso essergli utile. Sanders è l’unico con una visone politica seria: avrebbe evitato un disastro su scala nazionale con le sue politiche sociali. Sanders rappresenta la decenza che manca a questa amministrazione».
Pensa che Joe Biden, il candidato che ha strappato a Sanders la nomination per i democratici, farà un buon lavoro se sarà eletto presidente il prossimo novembre?
«Lo escludo».
Questa crisi cambierà le nostre vite?
«La paura del virus si è annidata dentro di noi, in profondità. Il mondo è spaventato, in una misura raramente sperimentata prima. C’è un lato positivo? Riconoscerci gli uni negli altri come esseri vulnerabili, arrivare a capirci nella paura e nel dolore. Ma i poveri pagheranno un prezzo altissimo. Pochi giorni fa, tornando dal Messico, ho notato che in aeroporto la maggior parte dei negozi era chiusa. Ho pensato a tutti quelli che oggi sono senza lavoro, che hanno perso il lavoro».
Se potesse aiutare la comunità afroamericana ad alzare la voce, quale sarebbe il suo messaggio?
«È uno di quei momenti in cui bisogna ricordare che l’umanità è parte di un tutto; non si può separare una parte dal resto. Cerco di non vedere il problema soltanto da una prospettiva “afroamericana”, ma da cittadina che abita una comunità. Detto questo, la questione più grave è che l’uno per cento dell’umanità ha a disposizione la maggior parte delle risorse, mentre un’ampia fetta non può contare neanche sui diritti fondamentali dell’essere umano. Pochi mesi fa ero a Eatonton, Georgia, la mia città natale, a visitare le tombe della mia gente. Sono cresciuta in un’area povera, i miei genitori erano mezzadri. Adesso, tutt’intorno, i ricchi costruiscono ville e campi da golf. E assumono a lavorare chi, da generazioni, abita quei luoghi. Sembra di tornare alla servitù, a nuove forme di servilismo».
Che cosa può insegnarci la letteratura in questo periodo difficile?
«Tutto. È grazie alla letteratura se mi sono fatta un’idea del mondo, che ho capito qualcosa del mondo. Leggere mi ha preparata ad affrontare la realtà, a seguire la verità delle cose. La mia chiesa insegna che “la verità è luce”. Quando ero bambina, ricordo che la maggior parte dei miei compagni di classe non aveva mai aperto un libro: non credevano potesse essere utile».
Come vive questi mesi incerti?
«Scrivo e leggo molto. Tengo un blog dal 2008, dove ho da poco pubblicato un articolo che può essere utile a chi, in questo periodo, è stressato e non riesce a dormire. Incoraggio le persone a meditare e a stare in contatto con i propri animali, soprattutto i cani, che aiutano a ritrovare serenità. Ho appena finito di leggere un libro molto bello. Si intitola Signs Preceding the End of the World, di Yuri Herrera (Segnali che precederanno la fine del mondo, edito in Italia da La Nuova Frontiera, ndr). La protagonista è una giovane donna messicana che cerca suo fratello, partito anni prima per costruirsi una nuova vita in America».
Quale sentimento descrive il mondo di oggi?
«Paura. Nessuno ha mai pensato di essere tanto vulnerabile come oggi».