Corriere della Sera, 26 aprile 2020
Intubato a Bergamo si sveglia in Germania
Al telefono era poco più di un sussurro, parole che arrivavano da lontano: da dodici anni di assenza, da due vite che si erano distanziate fino a diventare ignote l’una all’altra, da due voci che stentavano a riconoscersi. Da una parte Claudio Facoetti, 65 anni, insegnante di ginnastica in pensione di Curno, alle porte di Bergamo. Dall’altra la figlia Stefania, 38 anni, mamma di tre bambini di 2, 4 e 8 anni che non hanno mai visto il nonno. Una telefonata inaspettata: lui in un letto di ospedale in Germania, lei in una casa di Gazzaniga, nel cuore della Val Seriana devastata dal contagio. Dopo dodici anni di gelo e un complicato divorzio che ha amareggiato i rapporti tra i familiari.
Il coronavirus aggredisce i polmoni del pensionato all’inizio di marzo. Il 19 sono i vicini a rendersi conto che non lo vedono da qualche giorno e a suonare il campanello. Il tempo di aprire e Claudio Facoetti sviene ai loro piedi. I carabinieri avvisano Stefania: «I medici mi hanno detto che era molto grave, tanto che già all’arrivo in ospedale era stato intubato e sedato, quindi non c’è stata possibilità di parlargli». Le condizioni peggiorano, gli ospedali bergamaschi sono in piena emergenza, si apre la possibilità di spostare Claudio in Germania: «Quando me l’hanno detto mi sono spaventata – racconta la figlia -: non avevo ancora sentito parlare di trasferimenti all’estero, avevo paura di perdere di nuovo i contatti con mio padre». In quel periodo sono stati 45 i pazienti italiani trasferiti in ospedali tedeschi. Dieci non ce l’hanno fatta, e fra loro due bergamaschi. Ma gli altri, un po’ alla volta, stanno tornando: in pochi giorni quattro aeroambulanze Learjet 45 di Aeronord sono atterrate allo scalo di Orio al Serio riportando a casa pazienti che ora sono in convalescenza in alberghi o case di riposo.
Nel suo viaggio di andata Claudio Facoetti è stato portato (incosciente) a Bochum, nella regione della Ruhr. La Clinica Cattolica St Josef ha il vantaggio di avere un personale proveniente da 70 Paesi, e tra loro la neurologa milanese Ines Siglienti: «È stata lei a telefonarmi tutti i giorni e a parlarmi con sincerità delle condizioni di mio padre, e mi chiamava spesso anche il console italiano – continua Stefania -. Era una situazione che mi angosciava perché mio padre spesso peggiorava, ma era troppo lontano e avrei voluto fare di più». All’ospedale sono da subito ottimisti, tanto da pensare a un’accoglienza speciale per il risveglio di Claudio: «Gli infermieri sono tifosi del Dortmund, che non è lontano da Bochum, e là ormai conoscono bene l’Atalanta. Per questo quando hanno scoperto che papà è bergamasco volevano mettergli una bandiera nerazzurra in camera, ma la dottoressa prima si è informata da me e ha saputo che mio padre è juventino».
La scorsa settimana il graduale risveglio dalla sedazione: «Le condizioni sono buone, tanto che si pensa di spostarlo in un reparto di degenza anche se è ancora molto debole. Ma lo dico con molta prudenza: abbiamo sentito molte storie di ricadute, e in Val Seriana abbiamo tutti amici o conoscenti colpiti dal virus». Infine quella telefonata, che ha scavalcato in un momento un abisso di dodici anni: «Ci siamo detti poche parole, lui parla ancora con molta fatica, e immagino si sia molto stupito di essersi svegliato in Germania – racconta Stefania, con la voce che trema -. Ma è stato un momento molto bello e molto emozionante. Ho capito che tante cose si fanno per orgoglio o per risentimento, e non ne vale la pena. C’è stata gente che, quando si è saputa la mia storia, ha scritto delle cattiverie sui social senza sapere cosa c’era dietro. Ma adesso capisco che a volte bisogna toccare il fondo per ricominciare. Di fronte a tante famiglie distrutte dal virus, noi siamo stati risparmiati, in fondo è un miracolo. E voglio vederlo come il segno di un nuovo inizio, che ci permetta di ricostruire il nostro rapporto. E che consenta a lui di tornare a fare il papà, e finalmente il nonno.