Corriere della Sera, 26 aprile 2020
Edward, il volontario del vaccino
Prima di accettare la proposta di sottoporsi come volontario alla somministrazione del vaccino sperimentale, Edward O’Neill, 30 anni, ne ha parlato a lungo con sua moglie. Da due anni hanno lasciato Sydney e si sono trasferiti nel Regno Unito per portare avanti i suoi studi sui tumori neuroendo-crini. Dopo le iniziali perplessità sui possibili effetti collaterali gli ha risposto che era «la cosa giusta da fare». E così dal computer di O’Neill è partita una mail indirizzata all’Università di Oxford in cui conferma di voler partecipare al gruppo di 510 volontari che sta testando gli studi del Jenner Institute per debellare il coronavirus. Una speranza di vaccino a cui guarda con interesse anche il fondatore di Microsoft Bill Gates che si è detto disponibile a finanziarne la commercializ-zazione in caso di esiti positivi. «In genere sono io che faccio gli esperimenti visto che sono un ricercatore in campo oncologico, ora sono io l’esperimento» dice con serenità O’Neill collegato via Skype dalla sua abitazione. Sul braccio sinistro porta i segni dell’iniezione effettuata 24 ore prima, assieme a una collega tedesca con nome italiano, Elisa Granato, anche lei ricercatrice dell’università. «I primi a essere contattati dal team che sta studiando il vaccino sono stati coloro che lavorano in ambito accademico. Volevano testarlo su persone fisicamente vicine». Lui come gli altri volontari ha ricevuto un diario virtuale in cui deve indicare ogni giorno eventuali sintomi o complicazioni. Periodicamente è sottoposto a prelievi del sangue e misurazione della temperatura. «Sono fiducioso, ho approfondito molto il lavoro che stanno facendo, ci sono ottime possibilità che funzioni. Non ho paura perché quello che mi hanno inoculato è un virus depotenziato (adenovirus), di quelli che provocano infezioni negli scimpanzé. Sinceramente ho più paura del coronavirus, è una malattia terribile». Intanto, sull’offerta di Bill Gates è intervenuto anche Giacomo Gorini, il ricercatore italiano che fa parte del team del Jenner Institute: «È la seconda buona notizia in una settimana, dopo l’annuncio del Regno Unito di voler potenziare in qualunque modo la macchina produttiva del vaccino».