La Stampa, 26 aprile 2020
Il 25 aprile secondo Pierfrancesco Favino
Da pochi minuti i cori di «Bella Ciao» hanno finito di riempire il silenzio anomalo di un 25 aprile destinato a stamparsi nella memoria di tutti. Facile commuoversi, anche per chi, di mestiere, provoca e gestisce emozioni: «Sono avvisaglie di una tensione emotiva che, quando si scioglierà, lo farà anche in maniera imprevedibile». Dalla casa romana dove, insieme alla moglie Anna Ferzetti e alle due figlie Greta e Lea fa, come lui dice, «quello che fanno tutti», Pierfrancesco Favino parla di una festa della Resistenza che oggi assume significati nuovi: «Mi è parso che, durante questa quarantena, tanti vocaboli abbiano acquisito significati diversi, uno di questi è proprio libertà».
Cinque anni fa, per la Liberazione, aveva partecipato a un video collettivo, in cui, insieme ad altri colleghi, visitava lapidi e monumenti che celebrano i caduti nella lotta partigiana. Ha scelto di riproporlo, in questo 25 aprile segnato dal Coronavirus. Lei come lo ha vissuto?
«Penso che tutti noi abbiamo vissuto questa ricorrenza capendo meglio quello che esattamente significa. Faccio fatica ad associare la nostra situazione attuale a quella della guerra, mi sembra un paragone sbagliato, poco rispettoso nei confronti di chi la guerra l’ha veramente vissuta. Noi non abbiamo un nemico che ci spara addosso, e possiamo mangiare. Quello che, invece, in questa fase di limitazioni forzate, comprendiamo bene, è il senso dell’assenza di libertà».
Quando e come ha scoperto il valore del 25 aprile?
«Da ragazzino, come tutti, non sapevo bene di che cosa si trattasse, poi, man mano, ne ho acquistato la consapevolezza, e ho sempre mantenuto vivo un senso di gratitudine. Non ho mai dato per scontato il fatto che il mio privilegio di essere libero fosse nato da chi aveva combattuto perchè questo avvenisse. Per me il 25 aprile ha un valore molto forte, ho appena visto le Frecce tricolori e mi sono commosso. Penso anche che sarebbe bello conservare questo senso patriottico diffuso, che non va scambiato con il nazionalismo».
Il timore di questa confusione ha fatto sì che molti italiani abbiano avuto un rapporto altalenante con l’amor di patria. Lei come si sente?
«Io mi sento patriottico, noi italiani, escluse le competizioni sportive, abbiamo sempre avuto un problema nel riconoscerci in questo sentimento. Per farcelo avvertire sono necessarie situazioni di urgenza, in questi giorni, per esempio, abbiamo dato un segno forte di quello che siamo e di quello che possiamo fare».
«Bella ciao» si è trasformata nel leitmotiv di quest’epoca. Che impressione le fa?
«Trovo bizzarro che, prima di tutto questo, la canzone sia diventata popolare grazie a una serie spagnola come "La casa di carta", ma va bene, è un bel canto attorno a cui unirsi ed è un bel segno che la memoria non venga dispersa».
Ha due figlie, con loro ha parlato della Resistenza?
«Si, ne abbiamo parlato. Ieri ho sentito che la più grande, Greta, che ha 13 anni, spiegava alla più piccola, Lea, che cosa era successo e perché si facesse festa il 25 aprile. Una cosa bella».
Quando pensa alla Resistenza, che film le vengono in mente?
«Quelli del neorealismo, un periodo in cui il cinema è stato in grado di indicare la strada da percorrere».
Anche adesso ha svolto una funzione importante.
«Sì, credo che abbia dimostrato la sua necessità, nell’essere di compagnia per tutti, nel fornire un supporto psicologico. Per questo mi auguro che, nella fase della ripartenza, quella in cui sarà bene premiare il prodotto italiano, ci sia spazio anche il nostro cinema».