il Fatto Quotidiano, 26 aprile 2020
Stampubblica, operazione governissimo
C’era una volta “abbiamo una banca”, l’intercettazione di Piero Fassino con Giovanni Consorte: il segretario dei Ds che si informava con l’amministratore delegato di Unipol sullo stato della trattativa per l’acquisizione di Bnl. Era uno dei primi peccati originali della sinistra, un colpo mortale alla “diversità” degli eredi di Berlinguer. Oggi non c’è un’intercettazione, ma uno sfogo privato che si può tradurre così: “Non abbiamo più un giornale”.
Pd preoccupato. La cacciata di Carlo Verdelli da Repubblica è questione di politica e potere. Per il quotidiano è una svolta nei valori e nella sostanza. Né è una prova la profonda preoccupazione del fondatore Eugenio Scalfari, raccontata ieri da Carlo Tecce sul Fatto Quotidiano. L’avvento della famiglia Agnelli-Elkann porta con sé la fine dell’idea stessa con cui è cresciuta Repubblica: un giornale-partito che però al tempo stesso aveva un legame speciale con un partito-partito, ovviamente il Pd. Il segretario Nicola Zingaretti nei suoi colloqui privati se ne è già lamentato: considera l’epurazione di Verdelli e la nomina alla direzione del giornale di Maurizio Molinari un’operazione di destra. E più precisamente un’operazione per indebolire il governo in carica e lavorare alle condizioni di un nuovo status quo: la tanto chiacchierata “unità nazionale”. Una soluzione che nel retrobottega politico e giornalistico di questo periodo conduce sempre allo stesso nome: Mario Draghi.
Spaccare la Lega. Lavorare per un rimescolamento politico attorno a Draghi significa provare a parlare a un mondo moderato che ora è debole. E quindi tentare un’operazione che in questo momento pare immaginifica e improbabile: spaccare la Lega. Soffiare sulle differenze chiare che esistono tra il Carroccio pragmatico di Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia da quello chiacchierone e infantile di Matteo Salvini.
Il governatore veneto è l’unico nel Carroccio che potrebbe uscire dalla devastazione del Coronavirus con un’immagine rafforzata e la reputazione di credibile uomo di governo. Mentre non è un mistero che l’alchimia tra Giorgetti e il suo segretario sia ai minimi storici: non c’è alcuna visione condivisa nella strategia scelta da Salvini in questo periodo di crisi. Il numero due leghista è nella sua villa di Cazzago, silente: la sua voce in pubblico non si sente da parecchio.
Certo, poi ci sono questioni più concrete che sconsigliano voli pindarici: che genere di contributo potrebbe dare materialmente Giorgetti a questa operazione di palazzo, è realistico pensare a un gruppo di parlamentari eretici del Carroccio che lasciano il Capitano sulla via del governissimo? Ora no. Ma le linee di frattura nella Lega esistono e vanno seguite con attenzione.
Prime parole famose. La sensazione che Stampubblica possa diventare la casa di carta del governissimo è incoraggiata dalle prime parole dei suoi nuovi direttori. E pure dalla prima pagina di Repubblica del 25 aprile: il titolo centrale con cui esordisce Molinari non è sulla Liberazione ma sul (post) Coronavirus: “La rivoluzione dei trasporti. Viaggi a numero chiuso”. La linea politica del nuovo corso, leggendo in filigrana, sembra anticipata in un passaggio dell’editoriale dello stesso Molinari: “Le democrazie hanno bisogno di veder nascere dalle rovine della pandemia una nuova generazione di leader”. Il direttore appena incaricato inizia parlando di ricambio. L’editoriale di Massimo Giannini, che ha raccolto l’eredità di Molinari alla Stampa, è ancora più esplicitamente anti-Conte: “Chiediamo al governo di indicarci un exit-strategy dalla chiusura totale che asfissia 6 milioni di famiglie (…) Gli altri l’hanno già fatto. Non dico la solita Germania (…), dico Spagna e Portogallo, colpiti dal Covid in condizioni non migliori delle nostre e tuttavia capaci di venirne fuori prima”. Giannini poi cita esplicitamente il convitato di pietra di qualsiasi ragionamento sul post-Conte: “Serviranno ‘strumenti eccezionali per tempi eccezionali’, come dice Mario Draghi”.
E ancora sulla nuova Stampa di Giannini ieri è stata pubblicata un’intervista di Luigi Di Maio che funziona da perfetto complemento di questo venticello destabilizzante. Specie nel titolo: “Dall’Europa soldi subito e in tempi certi. E sul Mes dobbiamo essere pragmatici”. Ecco il Mes, il grande Babau dei giallorosa, la vera crepa nel governo.
Tant’è che nel pomeriggio proprio il titolo viene contestato ferocemente da Augusto Rubei, il portavoce di Di Maio: “Con grande stupore mi sono trovato a constatare che nel suo titolo La Stampa ha travisato totalmente le parole del ministro, strumentalizzandole”.
Il giornale di Cdb. Infine, sempre nel giorno in cui Stampubblica inaugura il suo nuovo corso, arrivano le parole dell’ex proprietario. Carlo De Benedetti, l’uomo che ha venduto Gedi agli Agnelli, racconta al Foglio di avere voglia di fondare un nuovo giornale. “Penso che John Elkann voglia modificare la natura di Repubblica. Lo portano più a destra. Credo sia in animo uno snaturamento sostanziale del filone culturale che è stato all’origine del giornale fondato da Eugenio Scalfari”. Cdb ha già nostalgia di un quotidiano di centrosinistra. Potrebbe colmare quel vuoto lamentato in privato da Zingaretti (e in pubblico da Gianni Cuperlo, che ha definito la sinistra italiana “orfana” di una testata). De Benedetti è più che aperto all’ipotesi: “Ci sto pensando seriamente. E ricevo messaggi incoraggianti (…), penso ci siano buoni ragioni politiche, culturali e persino un grande spazio editoriale per un nuovo quotidiano”. Con il vecchio stampo della Repubblica di Scalfari, Ezio Mauro e Verdelli.