Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  aprile 26 Domenica calendario

Intervista a Dario Argento

Dario Argento si dice immune al contagio della paura. Un po’ perché ha imparato a conviverci fin da bambino, e poi perché i suoi incubi sono sempre stati diversi da quelli degli altri. «Mi preoccupano più le malattie psichiche che quelle fisiche» racconta il maestro del brivido, ottant’anni a settembre. È nella sua casa romana, quartiere Prati. «Vivo queste settimane da recluso senza troppi problemi.
Studio, lavoro, preparo il nuovo film. Faccio anche ginnastica, alla mia età i muscoli si afflosciano».
Il film si chiamerà “Occhiali neri”?
«Sì, e sarà il mio ritorno al giallo, perciò non voglio anticipare troppo. È l’avventura, nella Roma notturna, di una ragazza e di un bambino cinese. Nella seconda parte la fuga li porta nella campagna laziale rocciosa, cespugliosa. Diversa dalla dolcezza delle valli toscane, ma per me bella. Dovevo girare a maggio, forse si partirà a settembre. Con il direttore della fotografia Luciano Tovoli passiamo pomeriggi a discutere su colori e atmosfere».
Che film sarà?
«Uno dei miei più interessanti, cosi dice chi ha letto la sceneggiatura, compresi i Daft Punk, che firmano la colonna sonora. Sono miei estimatori, conoscono tutto il mio cinema. Da amici francesi hanno saputo che giravo un nuovo film e mi hanno telefonato: “Vogliamo lavorare con te”. Ci sentiamo spessissimo, “tra poco ti inviamo i primi brani”, sono entusiasti.
Verranno a Roma appena possono».
La protagonista sarà Asia Argento?
«Non credo. Con Asia e con sua sorella Fiore ci sentiamo tutti i giorni, siamo molto vicini. I rapporti familiari son fondamentali, anche se non ci vediamo da due mesi. Non esco quasi mai, una signora mi aiuta. Per strada la gente con le mascherine mi ricorda un film giapponese, ma non mi fa impressione».
Per gli esperti la paura del coronavirus segnerà una intera generazione.
«Nessuno di noi potrà scordare questa chiusura totale in tutto il mondo, il virus che dilaga e distrugge una generazione di anziani. Non so spiegarmelo, né so spiegarlo ai miei nipoti».
Tra le sue paure non c’è mai stata quella delle malattie.
«No, ed è strano perché la pandemia fa parte della storia della mia famiglia. Mio nonno, dopo la Grande guerra, morì di spagnola. La contrasse viaggiando in treno. Se ne andò rapidamente ma senza contagiare mia nonna né mio zio e mio papà. Io non ho mai temuto nulla, neanche viaggiando tanto in Oriente, né malaria né febbre gialla.
Mi vaccino da anni».
Le pandemie al cinema le ha affrontate da produttore dei film di George Romero.
«Ho affrontato la malattia psichica in La sindrome di Stendhal, un disturbo della personalità di tipo freudiano. Non mi hanno mai interessato gli horror pandemici. A parte i film del mio grande amico George, che ha inventato lo zombie che ti morde e ti contagia in La notte dei morti viventi e poi in Zombi, che io produssi e scrissi insieme a lui. E poi c’è stato La città verrà distrutta all’alba: una serie di film che mettono al centro un misterioso elemento che invade il corpo umano e fa diventare la gente pazza o cannibale. Lui è l’esperto mondiale, poi l’hanno copiato tutti, anche le serie. Certi assalti al supermercato di questi giorni mi hanno ricordato qualche scena di un suo film».
Cosa spaventa la gente oggi?
« Il crescendo di notizie allarmanti, il conteggio di morti e contagiati. E la natura misteriosa del virus, i dati contrastanti, gli esperti che si contraddicono in tv. Poi la paura quotidiana, quella del passante che ti sfiora. Infine le leggende, il virus fuggito dal laboratorio, il complottismo che non risparmiò le Torri Gemelle e che è una malattia umana. E poi c’è il timore atavico delle pestilenze. Le racconto un esempio di un uso brillante di questa paura: durante la guerra un dottore dell’ospedale Fatebenefratelli, che aveva nascosto un gruppo di ebrei, disse ai nazisti venuti a prenderli che erano affetti dal fattore K, “contagiosissimo e letale” e quelli scapparono».
Lei ha imparato presto a convivere con la paura.
«Ne sono sempre stato affascinato.
Le mie paure erano diverse da quelle degli altri, irrazionali, metafisiche. La paura della follia dell’animo umano. Una cosa che mi fa paura c’è: per le donne chiuse nei piccoli appartamenti, il tempo che passa e gli uomini che iniziano ad andare fuori di testa e si scatenano contro di loro per motivi stupidi. E sto male per i miei amici malati a New York, a Los Angeles, che mi dicono: ho paura di morire».
Il suo cinema è legato ai suoi incubi. Cosa sogna in questi giorni?
«Faccio sogni contrastanti. Prima uno avventuroso e strano, poi mi sveglio, mi riaddormento ed ecco un incubo spaventoso che coinvolge i miei familiari. Rivedo mio padre e mia madre come se fossero giovani e insieme a me. Da quando c’è l’emergenza dormo pochissimo, vado a letto alle cinque, mi sveglio alle sette e non recupero durante il giorno. Ci ha tolto il sonno, questa malattia».
Pensa più al passato o al futuro?
«Fermarsi a ricordare il passato significa pensare alla propria morte. Non fa per me».
La prima cosa farà quando sarà finita?
«Vorrei andare al cinema».