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 2020  aprile 26 Domenica calendario

La biblioteca di Xi Jinping

«Essere, o non essere, questo è il dilemma». Racconta Xi Jinping che nel periodo più difficile della sua vita, mentre lavorava la «povera terra gialla» del Nord dello Shaanxi, il dubbio di Amleto gli risuonava nella mente. Come molti rampolli dell’élite comunista purgata da Mao, durante la Rivoluzione culturale anche il giovanissimo Xi era stato spedito a rieducarsi in campagna. Anni duri, in cui cercava consolazione in una manciata di libri che si era portato da Pechino. «Essere o non essere», la storia vuole che in quei momenti Shakespeare gli abbia suggerito l’essenziale, dedicarsi alla patria e al popolo. E pazienza se all’epoca in Cina le opere del Bardo erano vietate, come qualche scettico fa notare: questa ormai è la versione ufficiale, la biografia del presidente e la sua agiografia sono indistricabili. Xi Jinping lettore accanito.
Xi, la cui biblioteca va ben oltre i capisaldi del pensiero comunista, spazia dai classici della filosofia greca ai pensatori del liberalismo, da Locke a Montesquieu, da Confucio a Henry Kissinger, dal Vecchio e il mare all’opera (quasi) completa di Shakespeare.
Altro che Donald Trump, che per la lettura dice di «non avere tempo». In occasione della Giornata mondiale del libro i media di regime cinesi hanno compilato un catalogo di titoli “consigliati” da Xi, quelli che ha citato o di cui ha parlato, mostrando che il leader dell’altra superpotenza ha una libreria ampia e variegata. Lista a sorpresa ma non troppo, sceneggiata nei minimi dettagli per mandare i giusti messaggi. La propaganda vuole arrotondare l’immagine di uomo-apparato del segretario generale, nato e cresciuto nelle gerarchie di Partito. Inoltre, un Paese che aspira a rivaleggiare con gli Stati Uniti ha bisogno di un leader che conosca il mondo, almeno attraverso la parola scritta, e non si limiti alla dottrina marxista. Quella resta sullo scaffale più altro, la lente con cui ancora oggi la leadership cinese leggere la storia. Tra i 66 libri consigliati da Xi ci sono Il capitale di Marx, i pensieri di Lenin e le Opere scelte di Mao. Ma di scaffali ce ne sono altri, che allargano l’universo culturale del leader nel tempo e nello spazio.
Il primo è quello dei classici cinesi. Fin dal 2013, quando è salito al potere, Xi Jinping ha promosso una riscoperta della cultura millenaria del Dragone, intuendo che il “sogno” di riscossa nazionale poteva ancorarsi alle glorie passate dell’Impero al centro, che i valori tradizionali potevano riempire il vuoto spirituale creato dall’improvvisa trasformazione della Cina in una società dei consumi. Ecco allora in bella vista i Dialoghi del maestro Confucio, canone di una civiltà dall’ordine gerarchico e armonioso, e le opere del discepolo Mencio, ecco la raccolta di storie edificanti della dinastia Ming, di cui Xi sa recitare a memoria gli epigrammi e il Libro delle Odi, il più antico compendio di poemi tradizionali in mandarino, fino al decimo secolo avanti Cristo.
Ma per sostenere il primato del modello cinese, ora con il Partito alla guida, bisogna conoscere i limiti degli altri. Ciò che più stupisce, nella libreria presidenziale, è l’ampiezza della sezione dedicata al pensiero filosofico, politico e economico che noi definiremmo “occidentale”. Si scopre così che tra un’ispezione ad un’industria automobilistica e una riunione del Politburo, il segretario generale si intrattiene con La Repubblica di Platone, con le utopie di Moro e Campanella, che studia la storia dell’Europa e i giganti del pensiero liberale, La ricchezza delle nazioni di Adam Smith, i Due trattati sul governo di Locke e Lo spirito delle leggi di Montesquieu. Sì, proprio il pensatore che raccomanda di separare i poteri, perché «il potere assoluto corrompe assolutamente». Bisogna conoscere il nemico, per questo Xi legge anche Il Federalista di Hamilton, uno dei padri della costituzione americana.
Di più, per governare è necessario conoscere l’umanità, e sullo scaffale della letteratura Xi ne ha un compendio. Lo spirito della storia, in Guerra e pace di Tolstoj, quello del popolo, in scrittori sociali come Hugo e Dickens, quello dell’uomo in Hemingway e Shakespeare. Davvero la Cina può sfogliare La tempesta, dove si legge che «il pensiero è libero»? Può, perché il Bardo era l’autore più amato da Marx e per questo è da tempo accettato dalla cultura ufficiale. Ma se la biblioteca di Xi è l’orizzonte del Dragone, la si può anche osservare in controluce, per quello che non c’è. Tra 66 libri nessuno è scritto da una donna, in un Paese la cui classe dirigente è tutta maschile. Pochi titoli recenti, se si esclude Il capitale nel XXI secolo, il trattato sulle diseguaglianze di Thomas Picketty, perché per essere ammessi nel canone di regime è necessario tempo. E poca letteratura cinese contemporanea, in un Paese dove gli spazi di espressione si stanno restringendo sempre di più. Del resto, in ogni libreria di Cina il primo grande scaffale all’ingresso è dedicato ai discorsi del presidente. Xi legge Shakespeare, ma l’importante è che i cinesi leggano Xi.