la Repubblica, 25 aprile 2020
Il flop delle mascherine di Irene Pivetti
Dentro scatoloni marroni ammucchiati in un hangar del Terminal 2 dell’aeroporto di Malpensa ci sono centinaia di migliaia di mascherine di tipo FFp2 che l’Italia ha comprato ma che non può toccare. Vengono dalla Cina, sono prive di certificazione e sono sotto sequestro per ordine della procura di Savona. Le ha importate la Only Logistics Italia srl, la società di cui è amministratrice unica l’ex presidente della Camera Irene Pivetti. Quelle mascherine abbandonate, che tanto farebbero comodo a medici e operatori sanitari, non sono un incidente isolato, sono una sineddoche, una parte del tutto, e il tutto è il grande pasticcio politico- burocratico che ha contribuito a condannare il Paese ad affrontare la Fase 1 dell’emergenza Covid, e tra poco anche la Fase 2, senza un numero sufficiente di Dispositivi di protezione individuale (Dpi).
L’accordo con la Protezione civile
Questa storia comincia il 18 marzo 2020, il giorno in cui la Protezione civile, saltando la gara pubblica “in ragione dell’estrema e indifferibile urgenza”, firma con la Only un paio di contratti per la fornitura di 15 milioni di mascherine modello Ffp2 e chirurgiche al costo di circa 30 milioni di euro. Le condizioni: pagamento subito del 60 per cento dell’importo e saldo all’arrivo in dogana. Sono i giorni in cui la struttura commissariale di Domenico Arcuri, respinge, talvolta senza neanche ascoltarli, diversi imprenditori che mettono a disposizione i propri contatti con la Cina (qualcuno si era anche proposto di coprire con risorse private il pagamento da parte dello Stato) pur di far arrivare gli indispensabili Dpi nei reparti Covid. «Lo Stato non paga acconti, né salda all’ordine», specifica Arcuri in un’intervista a Repubblica. «Paga solo alla consegna del materiale, gli intermediari se ne facciano una ragione». Dimentica, però, i contratti firmati con la Only dell’ex parlamentare leghista, poi transitata in Forza Italia, non prima di aver avviato una carriera in tv culminata nella partecipazione a Ballando con le stelle.
La piccola Only
La Only Italia logistics è nata nel maggio del 2017 su spinta di Irene Pivetti, che dopo il mandato alla Camera si è messa a lavorare di sponda con la Cina: fa parte della Fondazione Italia-Cina e del “Gruppo europeo di interesse per lo sviluppo dell’Eurasia”. Col tempo si è costruita una rubrica di contatti “pesanti” in Estremo Oriente e, in pieno lockdown, pensa bene di farli fruttare. L’affare che propone alla Protezione Civile è enorme per la sua piccola azienda, che ha appena 50mila euro di capitale sociale, il 70 per cento del quale versato da una società (la Only Italia club) con sede a San Marino, e un altro 25 per cento dalla polacca Only Italia Trech & Trade. Il bilancio del 2018 è stato chiuso con un fatturato di 72mila euro e un utile di 2.300. Eppure all’improvviso, con due firme, Irene Pivetti si ritrova a muovere 30 milioni. L’esito dell’affare non è stato brillante: risulta infatti che le mascherine importate dalla Only non siano state ancora distribuite, perché prive del certificato di conformità CE e, dunque, in attesa del via libera da parte del Comitato Tecnico-Scientifico del governo. Non solo: 170.000 Ffp2 sono state sequestrate dal pm di Savona Giovanni Ferro, dopo che la Finanza ne ha trovate alcune nella più importante farmacia della città, con un certificato polacco fasullo e un’autocertificazione inutile.
Le certificazioni polacche
A spiegare a Repubblica il retroscena è Fulvio Daniele un addetto commerciale che a inizio marzo operava per la Only Italia. «Ho fatto nove-dieci carichi per 600mila pezzi, ma non riuscivamo a ottenere le certificazioni dell’Inail (necessarie per le importazioni di Ffp2, ndr ). Non so se il problema è burocratico o le mascherine non sono buone… Fatto sta che alla fine ha fatto autocertificazione». Un foglio di carta intestato ad un’azienda polacca di proprietà della Only, e un timbro. «Ero perplesso ma Irene mi diceva che con autocertificazione polacca era ok».
Le dogane aggirate
C’è un altro dettaglio, nel racconto di Fulvio Daniele, che merita attenzione e che spiega la scoperta dei finanzieri di Savona. «L’accordo di import – sostiene Daniele – era che la gran parte dei pezzi andasse alla Protezione civile, mentre una piccola quota potesse essere rivenduta dalla Pivetti a farmacie o istituti privati. La dottoressa faceva fattura al cliente e questo andava direttamente in dogana per il ritiro». È andata davvero così? «Nessun trattamento di favore, anzi», ribatte l’ex presidente della Camera. «sono vittima due volte. Dei fornitori cinesi, perché ci fregano: il 20-30 per cento dei carichi che ci spediscono è taroccato. E della burocrazia italiana: oggi le Dogane mi hanno chiesto di certificare la bontà di un carico che io non conosco. Come faccio? Quelle mascherine sarò costretta a sdoganarle come fossero pezzi di carta. E, quindi, a regalarle».