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 2020  aprile 25 Sabato calendario

Orsi & tori

Burocrazia, maledetta burocrazia. Senza la burocrazia che asfissia l’Italia, i danni del Covid-19 sarebbero la metà. È la burocrazia che ha creato più di un mese di ritardo nelle forniture di adeguate protezioni ai medici e agli infermieri. Se ne sono infettati più di 10 mila e 200 sono morti. E già questo è inaccettabile, ma soprattutto quegli eroici operatori della sanità sono diventati drammaticamente, essendone perfettamente consapevoli, inevitabili diffusori del virus. ItaliaOggi lo ha già scritto: a riconoscere che «il virus ha corso più veloce della burocrazia» è stato l’onesto capo della Protezione civile, Angelo Borelli, in un’intervista di qualche settimana fa a Repubblica. Borelli è stato impotente spettatore della trafila per acquistare, da parte di Consip, mascherine speciali, occhiali, tute, stivali. Consip è la centrale acquisti dello Stato, una macchina su cui è stato concentrato ogni tipo di acquisizione. E naturalmente nel rispetto della burocrazia, Consip agisce attraverso gare. Ecco, il grave errore politico, è stato quello di aspettare più di un mese per capire che era necessario un commissario speciale nella persona di Domenico Arcuri. Quel mese ha fatto diventare l’Italia, assieme ad altri errori commessi da ospedali periferici come quello di Alzano Lombardo, il disastro ancora in atto.
Possibile che persone intelligenti come il presidente del consiglio Giuseppe Conte non abbiano capito subito che era iniziata la guerra, e in guerra, come ha predicato Mario Draghi, ci vogliono, e sono consentite, decisioni straordinarie, con procedure straordinarie? Tanto più se si ha la macchina statale, cioè la burocrazia, più inefficiente del mondo occidentale. Non c’è stato governo che non abbia espresso il buon proposito di riformare la burocrazia con la nomina, all’apposito ministero, anche di uomini e donne valide. Come mai non sono riusciti neppure a scalfire questa inefficienza e la situazione è sempre più peggiorata?
Una risposta precisa c’è: quella che comunemente si chiama burocrazia è il combinato disposto della struttura dello Stato, dell’organizzazione che la guida e del complesso delle leggi che la burocrazia segue e che gli dà un potere enorme. Sapete quante sono le norme che regolano la vita dell’Italia e degli italiani? Fra norme centrali e regionali si supera le 160 mila. Sapete quante sono le norme analoghe in Inghilterra? Tremila. E in Francia? Settemila. In Germania, 5.400. La vastità delle norme italiane, il loro intreccio, la loro impenetrabilità anche dal punto di vista linguistico sono come una foresta amazzonica, dove se con il machete si riesce ad aprire un corridoio, fatti due metri si resta impigliati in una pioggia di liane. E gli animali feroci sono a due passi.
Sempre per avere la misura che nasce dal confronto, lo sapete quanti sono i giorni medi per avere un permesso edilizio in Italia? Quasi 200, in Germania poco più di 100, in Inghilterra 80. E ancora, per tornare alla realtà che stiamo vivendo, in Italia ci sono 16 comitati speciali creati per affrontare il virus, con ben 470 esperti o presunti tali; in Francia esiste un solo comitato tecnico scientifico; in Spagna ce ne sono due con 13 esperti. In Italia sono stati presi ben 220 provvedimenti, di cui 19 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Non è stato possibile avere dati precisi sugli altri Paesi europei, ma non è azzardato dire, in base ai comitati, che non si supereranno i dieci.

La sequela sconfortante di come il paese Italia sia bloccato e perché sia bloccato la si ha leggendo sul nostro confratello e concorrente Sole24Ore, che ha notato che tra leggi, note, ordinanze di Stato, regioni e comuni si sono superate le mille pagine, dicasi mille. Ma chi può orientarsi in mille pagine, per di più in linguaggio spesso oscuro e con continui rinvii a questo e a quel provvedimento o a questa e quella norma?
Quando il governo ha pensato di semplificare con il decreto Liquidità ha approvato un testo che all’articolo n. 1, tanto per gradire, fa riferimento a 11 altre leggi, trattati o regolamenti.
Un aperitivo per il banchetto che si sta consumando ormai da giorni, con ripetute circolari che l’Abi, guidata in maniera impeccabile da Antonio Patuelli, liberale storico ed ex parlamentare, quindi conoscitore di chi produce le leggi, nonché efficientissimo presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna, sforna inevitabilmente ogni tre giorni. Perché ogni giorno gli esperti rintracciano in quel testo un problema. Uno gravissimo e discriminatorio l’ha già segnalato questo giornale a proposito delle aziende che possono chiedere il finanziamento fino a 800 mila euro, avendo un fatturato massimo di 3,2 milioni di euro. Bene, anche se i lettori di queste colonne lo sanno già per l’«Orsi&Tori» della settimana scorsa: le società con il peccato veniale che comporta la classificazione di utp (unlikely to pay, improbabile riscossione) in base alle regole bancarie, perché magari hanno tardato a pagare una rata di mutuo, o perché hanno sconfinato prima del 31 gennaio 2020, non è possibile in base al testo attuale presentare domanda. L’Abi e le banche si sono sgolate a segnalare che proprio queste società sono quelle che hanno più necessità di aiuto e per le quali l’aiuto può essere più produttivo, perché non sono aziende decotte e anche e magari, nel frattempo, hanno già sanato il peccato veniale.
Ma chi ha scritto il decreto non sa che la qualifica di utp anche dopo la regolarizzazione del rapporto dura un altro anno. Forse in sede di conversione il vulnus può colpire per eccesso di zelo. O, al contrario, può favorire iniquità: per esempio, sono stati rilevati casi di chi ha richiesto e ricevuto i 600 euro pur avendo conti in banca di centinaia di migliaia di euro, come hanno denunciato, giustamente disgustati, vari impiegati di banca. E ciò può avvenire oltre che per l’inqualificabile comportamento di chi porta via i 600 euro a chi ne ha bisogno, perché nel testo non è stato indicato che poteva chiedere il contributo miserando solo chi avesse un reddito effettivo e un deposito in banca sotto un certo livello.
Di fronte alla contestazione che Corrado Formigli, conduttore di Piazzapulita, ha fatto al viceministro dell’Economia Antonio Misiani presente in studio, la risposta è stata sconcertante: volevamo rendere tutto più fluido. Bastava mettere nel modulo, come hanno fatto in Usa, il divieto, con anche provvedimento penale, per chi chiedeva il miserando contributo pur avendo un reddito superiore a un certo livello e depositi in banca. Di fronte a un penale forte (in Usa c’è il carcere), sicuramente chi ha abusato di una ennesima norma scritta male non si sarebbe azzardato a prendere soldi destinati a poveri e bisognosi veri.
Quindi una burocrazia non solo inefficiente ma anche iniqua. Comunque, testi di legge che si prestano a qualsiasi tipo di interpretazione, essendo scritti con riferimento ad altre leggi che a loro volta fanno riferimento ad altre norme ancora, appunto le oltre 160 mila descritte sopra. Questo coacervo di leggi alla fine impenetrabili si prestano poi a iniziative di qualche pubblico ministero aggressivo o vendicativo a mettere sotto accusa il burocrate che deve gestire la norma. Ha confessato ancora l’onesto Borelli: naturalmente se ci sono delle leggi complesse nessun dirigente si azzarda a firmare, perché corre il rischio di essere rinviato a giudizio per danno erariale. E proprio questo aspetto è alla base di moltissimi ritardi nel concedere permessi, autorizzazioni o concludere pratiche.
C’è un esempio illuminante anche se particolare e paradossalmente nasce al tentativo di risoluzione di un problema importante (la continuità della gestione) affrontato dall’allora ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini. L’idea del bravo ministro fu quella di ovviare ai continui cambiamenti dei governi dando i poteri di firma ai direttori generali dei ministeri invece che ai ministri. Scelta teoricamente giusta, se non fosse che i direttori generali erano già persone con molto potere e quindi così diventarono strapotenti, ma sempre sotto la cappa di una possibile azione per danno erariale e addirittura di una azione penale rispetto alle loro scelte. Quindi, per il peccato originale di una legislazione impenetrabile, la scelta di Bassanini non produsse effetti positivi, anzi.
Infatti, a quello stesso principio della firma ai direttori si adeguò subito la giunta della regione autonoma Sicilia. Il fattore mafia era sempre in agguato e la magistratura siciliana ha talvolta ecceduto, anche se le vicende di stragi mafiose possono aver giustificato quell’approccio sempre accusatorio. Sentendosi quindi in pericolo, i componenti della giunta decisero di delegare la firma ai direttori generali, scaricandosi così da possibili incriminazioni per collegamento mafioso. Il risultato è stata la paralisi: infatti, l’elementare ragionamento dei direttori generali è stato: se non firma il politico perché dovrei firmare io, per finire poi sotto inchiesta giudiziaria?
Un campionario desolante, allarmante, esplosivo.
Ma prima di arrivare alle conclusioni conviene ricordare un fatto ormai passato alla storia. Chi è stato per decenni il politico democristiano più potente di tutti? Giulio Andreotti, senza dubbio. E perché era il più potente? Perché aveva il controllo di alcuni superburocrati, a cominciare dal ragioniere generale dello Stato, Vincenzo Milazzo, la cui unghia del dito mignolo era più lunga quasi dello stesso dito. Quando Andreotti capì che un centro di potere enorme sarebbe stata la Consob, che cosa fece? Operò in modo che (era il 1983) il presidente diventasse Milazzo. In questo modo ebbe il controllo di tutte le aziende e di tutti gli imprenditori quotati in borsa. E sulla Consob, Andreotti non mollò mai la presa e arrivò a far nominare presidente addirittura il proprietario di sale teatrali e cinematografiche, Bruno Pazzi, sicuramente uomo intelligente ma esempio illuminante di collusione fra potere burocratico e potere politico. Infatti, finì agli arresti domiciliari nell’indagine Mani pulite per il caso Enimont.
Insomma, Andreotti, con burocrati di carriera come Milazzo, o burocrati di complemento ha sempre avuto un potere unico proprio per la sua capacità di legare a sé la burocrazia. Per fortuna che almeno per la Consob e per altre agenzie non arrivano più ai vertici burocrati come quelli scelti da Andreotti. Ma appunto, una delle altre caratteristiche del vero virus permanente dell’Italia, la burocrazia, è il legame che si crea con chi è al governo. Perché la Francia ha una burocrazia enormemente più efficiente? Perché ha istituito per tempo una scuola superiore, l’Ena, da far frequentare ai migliori cervelli e ai cervelli più onesti del Paese.
Il rincrescimento è che il virus burocrazia italiano solo con provvedimenti straordinari può essere combattuto. E seguendo la logica di Draghi, quale momento migliore per provvedimenti radicali e straordinari ci può essere se non uno stato di guerra? Finora il governo, dove pure ci sono politici onesti e preparati come il ministro Roberto Gualtieri, non sembra essere consapevole che questa è un’occasione da non perdere.
Il sistema composto da burocrati impregnati di burocratismo, avidi di potere, che scrivono per il governo e per i politici, quando i loro protettori sono all’opposizione, leggi assurde che si sommano alla montagna esistente; la combinazione fra burocrati, leggi incomprensibili e una certa magistratura formano un blocco che può portare il paese alla rovina, come lo sta portando. Quindi, l’occasione non va persa: si cominci a varare leggi che ne aboliscano a decine o che ne semplifichino centinaia. È questo un punto su cui, a livello di rischio a cui siamo arrivati, mettendosi la mano sulla coscienza, maggioranza e opposizione dovrebbero incontrarsi, come il presidente Sergio Mattarella continua ad auspicare anche nel suo discorso del 25 aprile. E poi, anzi subito, che vengano nominati tre o quattro commissari straordinari, coperti da immunità penale, per affrontare il rilancio dell’economia e quindi dell’Italia, per esempio per le infrastrutture, per la tecnologia, per la sanità, per il debito pubblico. Questi commissari dovrebbero rispondere solo al ministro competente, superando tutta la struttura burocratica.
Del resto, c’è un esempio illuminante: il Ponte di Genova. Se non fosse stato deciso un commissario straordinario nella persona del sindaco di Genova, con poteri straordinari, il ponte non sarebbe al punto in cui è. I lavori dei 2 mila addetti sono proseguiti senza interruzione da virus e un solo lavoratore è risultato contaminato, non certo lavorando al ponte. Questo è l’esempio da seguire per lo sblocco e il rilancio dell’Italia.
Il 25 aprile, come ha detto il presidente Sergio Mattarella, è quest’anno un giorno speciale e non solo perché si celebrano i 75 anni della liberazione. Si faccia in modo che l’Italia sia liberata dalla burocrazia e dai poteri occulti, proprio mentre c’è l’impegno contemporaneo a liberare il Paese dal virus.