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 2020  aprile 25 Sabato calendario

Petrolio e virus, i due fronti di Putin

L’aggiornamento dei contagi e delle vittime, sul lato destro dello schermo tv, ha preso il posto dell’elenco dei caduti nella Grande guerra patriottica: scorreva interminabile, anticipando le celebrazioni per il 75° anniversario della vittoria sul nazismo. Sull’altro lato, i notiziari russi non raccontano l’esito del referendum che il 22 aprile avrebbe dovuto sancire il prolungamento del mandato di Vladimir Putin; né si dilungano sui preparativi per la parata militare sulla Piazza Rossa, prevista il 9 maggio. Parata e referendum sono stati rinviati: il coronavirus ha stravolto i piani anche al presidente russo. Che ora appare invece sugli schermi, quotidianamente, in collegamento video con ministri, scienziati, banchieri, governatori. Isolato nella residenza di Novo Ogariovo, Putin è scuro in volto: il doppio colpo che si è abbattuto sulla Russia – l’epidemia coronavirus in contemporanea con il crollo dei prezzi del petrolio – potrebbe costargli caro.
Grazie a una gestione prudente delle risorse accumulate negli ultimi anni, il Cremlino si sentiva al sicuro: con riserve in valuta per 570 miliardi di dollari, le quarte al mondo, e all’interno di queste un Fondo di riserva (in russo Fondo del benessere nazionale) dotato di 170 miliardi, la Russia era pronta ad affrontare una crisi. «Abbiamo riserve sufficienti a coprire il calo dei guadagni del petrolio, con prezzi a 25/30 dollari il barile, per 6/10 anni», diceva in marzo Anton Siluanov, il ministro delle Finanze. 
Ma in un mese è cambiato tutto: chi poteva immaginare che le crisi sarebbero state due? La diffusione del virus che si era creduto di poter fermare ai confini russi prosegue implacabile, apparentemente ancora in fase di accelerazione. E con il Paese più grande del mondo costretto al lockdown, il bilancio pubblico è chiamato a farsi carico di un’economia destinata alla recessione proprio mentre il petrolio che lo alimenta va in caduta libera. «Non usiamo termini apocalittici», insiste Dmitrij Peskov, il portavoce di Putin. Ma intanto Siluanov ha dovuto cambiare tono: a questi ritmi, ha ammesso nei giorni scorsi, metà dei soldi custoditi nel Fondo sovrano verranno bruciati entro l’anno.
«Con l’aiuto di Dio, andrà tutto bene», ha assicurato Putin rivolgendosi ai russi in occasione della Pasqua ortodossa. Sembra aver smarrito la presa sul Paese: le sue parole non possono tranquillizzare chi ha davanti il baratro della rovina economica. Attento a non impegnare troppo lo Stato in costosi piani di salvataggio,e se stesso nella gestione di un momento difficile,il presidente ha dato spazio di manovra ai governatori delle regioni. E non ha imposto un’emergenza nazionale, ma un mese di “ferie stipendiate”: scaricando sui datori di lavoro l’obbligo di fermare l’attività, pur continuando a pagare i dipendenti. Con quali soldi? Il 30% delle imprese private russe, ha calcolato il Centro di ricerche strategiche, ha posto il personale in permesso non pagato, altri riducono l’orario di lavoro. Sono le imprese più piccole, nei servizi e nel commercio, le più colpite da queste cinque settimane di blocco, tantissime rischiano la bancarotta: mentre le grandi imprese di Stato, considerate strategiche, continuano a lavorare.
Boris Titov, garante dei diritti degli imprenditori presso la presidenza russa, cerca di attirare l’attenzione sulle Pmi, su cui poggia un quinto del Pil nazionale: «Per ora – ha detto ieri intervenendo alla Tass – il governo non ha confermato un secondo pacchetto di misure a sostegno del business, né è dato sapere che cosa potrebbe contenere».
I primi interventi annunciati finora confermano la linea prudente: rispetto ai grandi programmi di aiuti annunciati dai Paesi occidentali, quello di Putin è un bazooka modesto: pari al 2,8% del Pil, e composto in prevalenza da proroghe delle scadenze fiscali (a eccezione dell’Iva), garanzie ai crediti, riduzione dei contributi, sussidi alle regioni. Su un totale di 3.100 miliardi di rubli (38,6 miliardi di euro), i pagamenti diretti alle piccole e medie imprese arrivano solo a 80 miliardi (meno di un miliardo di euro). La priorità va all’apparato statale e alle sue grandi industrie. «I dipendenti statali – attacca Aleksej Navalnyj dall’opposizione – continueranno a essere pagati. Gli altri vengono sacrificati».
Gli impegni del governo, nel dettaglio fornito dal ministro Siluanov, aumentano con i 2.000 miliardi di rubli del Fondo di riserva destinati in automatico a compensare il calo delle entrate dalla vendita di petrolio: man mano che il prezzo del greggio scende, in Russia diminuiscono anche le imposte che i produttori sono tenuti a versare allo Stato. «Si può capire il governo – spiega l’economista Oleg Vjughin, ex viceministro delle Finanze -, questo incredibile crollo del petrolio li ha spaventati. Ci sono impegni di bilancio da finanziare, ed è chiaro che metà delle risorse liquide del Fondo di riserva andranno a coprire il calo delle entrate del budget. E l’idea di dimezzare il Fondo per un anno, ovviamente, fa tremare le mani». 
Insieme a un gruppo di altri economisti definiti “liberali”, Vjughin ha firmato un manifesto che nell’era del coronavirus considera inadeguato il programma di aiuti del governo. E alla Banca centrale di Elvira Nabiullina chiede di lanciare un “Qe russo”,a sostegno dei redditi della popolazione previsti in calo almeno del 70%. Ma anche la governatrice di Bank Rossii cammina su un filo. Con la prospettiva di un prezzo del petrolio Ural sotto i 20 dollari il barile, a lungo andare insostenibile per la Russia e per il rublo, la Banca centrale ieri ha dato la priorità alla crisi economica. E invece di alzare i tassi come avrebbe fatto in passato li ha ridotti di mezzo punto, dal 6 al 5,5%: lasciando intendere che taglierà ancora. 
«Ci aspettiamo un serio calo della domanda – ha spiegato la signora Nabiullina in conferenza stampa online – e data la straordinarietà degli eventi, modificare in modo graduale la politica monetaria, come siamo soliti fare, potrebbe non bastare». La Banca centrale prevede una contrazione tra il 4 e il 6%, per quest’anno, il Fondo monetario internazionale ipotizza un -5,5%. Ma la Russia, ha chiarito Nabiullina, non può permettersi di più: «Immaginiamo che la Banca centrale si metta a stampare denaro e a distribuirlo a tasso zero. Cosa succederebbe? Vi ricordo gli anni 90. L’inflazione esploderebbe, e con i soldi ricevuti non si potrebbe comprare quasi niente». 
Per molti è già così. In Caucaso, a Vladikavkaz, un po’ online e un po’ no sono iniziate le prime proteste, contro la mancanza di lavoro e il calo dei redditi. Nella solitudine di Novo Ogariovo, Putin potrebbe avere poco tempo per reagire. Lui che avrebbe voluto prolungare il proprio tempo all’infinito.