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 2020  aprile 25 Sabato calendario

Food delivery, i 10mila in corsa nella crisi

La pandemia ha fatto aumentare il lavoro dei rider, i fattorini delle piattaforme che fanno consegne a domicilio. A marzo le richieste di spesa online per Glovo sono cresciute del 300% mentre quelle da porta a porta come, per esempio il recapito dei pacchi segnano a marzo un +900%, impennata legata anche allo scambio dei regali di Pasqua. In crescita anche il numero dei ristoranti che aderiscono alle piattaforme.
Negli ultimi due mesi l’universo dei rider ha visto il riconoscimento dello status di servizio indispensabile ma anche l’accentuarsi delle rivendicazioni. Mercoledì si è svolta la prima giornata di «sciopero internazionale degli addetti alle consegne a domicilio» in Spagna e cinque paesi latino americani (Argentina, Perù, Equador, Guatemala, Costa Rica). La richiesta è di miglioramenti salariali e soprattutto un maggior numero di dispositivi di protezione (Dpi) contro il Covid-19. 
In Italia i rider sono circa di 10mila, di cui si stima un terzo attivi a Milano, e sfrecciano nelle vie deserte delle città zaino in spalla con i colori di Just Eat, Uber Eat, Glovo, Deliveroo, le multinazionali che li reclutano. I loro rider sono l’evoluzione della Gig economy, quella dei lavoretti occasionali, perché per tanti le consegne sono la principale e unica fonte di reddito soprattutto per gli extracomunitari che rappresentano la maggioranza dei rider. Da una ricerca commissionata dal comune di Milano al Dipartimento di studi sociali e politici dell’Università Statale della città emerge il ruolo di lavoratori pseudo-autonomi in condizioni contrattuali precarie, che soffrono per l’abuso della posizione dominante da parte dei datori di lavoro e per i contenuti contrattuali poco chiari.
Non mancano le zone d’ombra legate soprattutto al caporalato questa volta digitale. Un soggetto “in regola” si registra su più piattaforme, fornisce la propria identità e le coordinate bancarie, i pagamenti delle piattaforme sono tracciabili, e ottiene le credenziali che accedere alla app per i rider. A questo punto queste credenziali diventano preziosissime e possono passare agli irregolari che effettivamente faranno le consegne e vengono pagati in nero dal caporale. «Solo con il Covid ci si è accorti del ruolo di questi lavoratori non riconosciuti come tali e a cui non viene applicato un contratto nazionale – rimanca Luca Stanzione, segretario generale Cgil trasporti Lombardia – mentre sulla vendita degli account è in corso una inchiesta del tribunale di Milano».
Oltre alla magistratura anche i sindacati da tempo hanno acceso i riflettori contro questa forma di caporalato. «C’è tanto, tanto sommerso e questa è una illegalità diffusa che non si riesce a penetrare – aggiunge Quirino Archilletti, dirigente sindacale della Fit Cisl che segue area logistica e merci -. Invitiamo a denunciare questo malaffare perché le irregolarità che mettono a rischio l’affidabilità del servizio e l’igiene». Fit Cisl punta a una figura del rider contrattualizzato, in regola che offre ai clienti un servizio sicuro e di qualità. Certo prima c’è da sconfiggere anche il modello di ranking reputazionale delle piattaforme. Per quanto riguarda il Dl 101 del 2019 che regola questa forma di lavoro Archilletti aggiunge: «Secondo noi manca l’autonomia perché di fatto l’attività e la prestazione vengono regolate e decise della piattaforma di food delivery» osserva. 
La tecnologia potrebbe anche sconfiggere il caporalato. Le piattaforme potrebbero usare un sistema con un doppio codice, come avviene per l’home banking, per accedere alla app dei rider. L’altro ieri Uber Eats ha invece introdotto un sistema per il controllo dell’identità del rider in tempo reale. Al ciclo fattorino viene richiesto di farsi un selfie prima di accedere al servizio e un altro in un momento a caso. Il sistema confronta le immagini e nel caso di due violazioni l’account viene sospeso. 
Anche il comune di Milano è impegnato per migliorare le condizioni di lavoro dei rider tentando la via del dialogo tra piattaforme e sindacati. «Ma le piattaforme non hanno mai fatto un passo in avanti nemmeno in questa situazione di crisi – spiega Cristina Tajani, assessore attività produttive -. Nei prossimi mesi approfondiremo lo stato di recepimento della normativa nazionale». 
«I rider richiedono tutele e strumenti specifici che vanno completati “nell’ultimo miglio” con l’applicazione del contratto della logistica – spiega Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto della Cisl -. Va superata la logica del cottimo e tutte le protezioni che solo un vero contratto può riconoscere. È?prioritario garantire la trasparenza degli algoritmi, il diritto alla disconnessione e alla privacy».
Del resto il ruolo dei rider è destinato a crescere anche in futuro. Nel mondo della ristorazione tradizionale a marzo quasi il 6% dei locali, secondo le rilevazioni della Fipe, era in grado di fornire il servizio di consegna a domicilio. Ad aprile un altro 10,4% dei locali si è organizzato per fornirlo e ora, secondo le ultime stime, viene fornito da un ristorante su tre. Certo, c’è chi usa le piattaforme ma molti impiegano le proprie risorse come il personale di sala al momento non utilizzabile.
Del resto non manca chi assume i propri fattorini. È quanto fa Domino’s Pizza Italia, catena specializzata proprio nella consegna a domicilio. «I nostri rider sono assunti con il contratto dei pubblici esercizi, forniamo divisa, Dpi e mascherine, casco e scooter elettrico – racconta l’ad Alessandro Lazzaroni -. Il loro costo per l’azienda è intorno ai 12 euro l’ora». Invece lo stipendio medio di un rider che lavora per le piattaforme è di 850 euro netti al mese, ovvero circa 7,5 euro l’ora. Una differenza non da poco.