Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  aprile 25 Sabato calendario

Effetti economici della seconda ondata di contagi

Il Coronavirus e gli interventi che provano a contenerne gli effetti sull’economia cambieranno in modo strutturale i connotati della nostra finanza pubblica. Lo spiega la relazione esaminata ieri dal Consiglio dei ministri con cui la prossima settimana il governo chiederà alle Camere l’autorizzazione per il deficit aggiuntivo indispensabile alla maximanovra in arrivo. E lo spiega con il linguaggio più efficace: quello dei numeri. Perché quella che il governo si trova a dover proporre al Parlamento è di fatto un’ipoteca sui conti dei prossimi dodici anni: fatta di 411,55 miliardi di indebitamento aggiuntivo da qui al 2031, 112,6 miliardi solo nel 2020-2022, a cui si aggiunge una postilla da 29,2 miliardi all’anno dal 2032. 
Cifre come queste chiariscono bene come mai un Documento di solito ambizioso come il Def riconosca che all’Italia serviranno almeno 10 anni di avanzi primari «congrui» per avvicinare la media europea del debito. A patto di farcela, perché oltre a essere inevitabile il super-scostamento che finirà all’esame delle Camere ha un prezzo, crescente nel tempo: fino a totalizzare 50,93 miliardi di spesa aggiuntiva per interessi nello stesso 2020-2032. Con tutta l’incertezza che un calcolo del genere sconta in periodi così volatili per i titoli italiani. Il fatto è che la manovra in arrivo, oltre a mettere in campo 55 miliardi di deficit e 155 miliardi in termini di saldo netto da finanziare per contrastare gli effetti della crisi, ha intenzione di cancellare dall’orizzonte della finanza pubblica le clausole Iva nate nel 2011 (come anticipato dal Sole 24 Ore di ieri). Perché in una fase come questa, spiega la relazione, «è fondamentale fornire elementi di certezza alle imprese e ai cittadini che si trovano a dover programmare l’attività e i piani di investimento». E in quest’ottica l’onda di piena del deficit prodotta dalla crisi offre l’occasione per pulire l’orizzonte della finanza pubblica da un cappio che non ha dato credibilità ai nostri conti ma ha assorbito negli ultimi anni quasi tutti gli spazi (comprati a debito) per le leggi di bilancio. 
Sono dimensioni come queste a rendere indispensabili le contromisure europee citate dal ministro dell’Economia Gualtieri nella sua introduzione al Def: il Recovery Fund, «lo strumento decisivo» secondo il titolare dei conti italiani, ma anche il Sure, i finanziamenti Bei. E il Mes, su cui i Cinque Stelle appaiono all’angolo mentre la Lega attacca con una mozione di sfiducia individuale per Gualtieri.
Maxi-manovra anticrisi e pacchetto europeo sono indispensabili ad affrontare una congiuntura senza precedenti, con un Pil che crolla dell’8% quest’anno per risalire del 4,7% il prossimo in un rimbalzo aiutato anche dall’addio alle clausole Iva. Arriva da qui l’altalena del deficit, al 10,4% nel 2020 e al 5,7% nel 2021; e quella dei redditi, in rialzo il prossimo anno dopo aver lasciato sul terreno il 5,7% nel 2020. Più in là il Def non si spinge, perché per l’abituale programma triennale bisognerà aspettare un ritorno a qualcosa di simile alla normalità. Ma anche sul rimbalzo a breve termine pesano due incognite ulteriori.
I numeri di Via XX Settembre sono agganciati all’ipotesi di un vaccino disponibile all’inizio del 2021, e di una produzione che riparte in maniera decisa già nella seconda metà del 2020: dopo il -5,5% del primo trimestre e il -10,5% del secondo, il Pil dovrebbe crescere del 9,6% nel terzo e del 3,8% nel quarto. Ma le stesse elaborazioni Mef precisano che una seconda ondata di contagi con una replica autunnale del lockdown taglierebbe il Pil su base annua di un altro 2,8%, in larghissima parte per la ricaduta della domanda interna. In ogni caso, avverte il Def l’economia dovrà «operare in regime di distanziamento sociale per alcuni trimestri».
A segnare il passo sono soprattutto gli investimenti, che accusano una contrazione del 12,3%, e il mercato del lavoro, con una disoccupazione in salita al 11,6%. Questo freno impatterà ovviamente anche sulla finanza pubblica, che nel frattempo deve sostenere spese extra: la spesa corrente passa dal 41,9% del 2019 al 47,2% di quest’anno, e le uscite totali (al netto di interessi al 3,7% del Pil) arriva ad assorbire più di metà (il 51,2%) della ricchezza nazionale, contro il 45,3% dell’anno scorso. A spingere sono prima di tutto i sussidi di disoccupazione, che crescono del 45,5%, mentre le prestazioni sociali aumentano del 6,9%. Per ora.