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 2020  aprile 25 Sabato calendario

A 40 anni dalla morte di Hitchcock

Tra qualche giorno il Cinema rievocherà uno dei suoi grandi maestri, Alfred Hitchcock, morto il 29 Aprile di quaranta anni fa. Probabilmente rivedremo – speriamo nel doppiaggio originale – le sue opere più famose, che dopo ben più di mezzo secolo mantengono intatto il fascino della loro contorta modernità. Perché i suoi film sono molto più di indagini poliziesche. Sono indagini sulle ironie del destino e sulla complessità dell’animo umano. 
La loro trama non appartiene a quella tradizionale del giallo, che a sua volta è divisa nei due classici filoni dell’ Whodunit( chi l’ha fatto) e dell’How catchthem, (letteralmente: come prenderli). Nel primo caso la sfida per il lettore consiste nello scoprire il colpevole, ruolo che generalmente viene svolto con successo da investigatori eccentrici, come Sherlock Holmes, Philo Vance, Hercule Poirot, o l’adorabile Miss Marple. Nel secondo caso, al contrario, l’assassino è noto sin dall’inizio: anzi, ne seguiamo il diabolico procedere, e la nostra attenzione si concentra nel modo in cui l’investigatore lo individua e lo consegna alla giustizia. È, come tutti sanno, l’immagine del tenente Colombo. 
Hitchcock oscilla tra i due generi, perché in realtà gli interessa poco trovare il colpevole e ancor meno enfatizzare il ruolo del detective. Nei suoi capolavori la nostra attenzione non si concentra tanto sulla logica degli eventi – peraltro, come nelle tragedie di Shakespeare, assolutamente inverosimili -, ma sul loro combinarsi in modo da creare un’esasperante tensione. 
IL TRAUMA
Per questo Hitchcock più che maestro del giallo è stato definito maestro del brivido. Fu lui lo stesso a spiegare, in una celebre intervista, cosa sia la suspence: è la minaccia imminente che grava sull’ignaro protagonista, mentre lo spettatore ne è consapevole. Se vedi due individui che stanno parlando, e improvvisamente scoppia una bomba, l’effetto traumatico, per quanto forte, finisce lì. Ma se tu sai che sotto il loro divano tra cinque minuti scoppierà una bomba, seguirai la loro conversazione in uno stato di tensione. Nel primo caso il film ti colpisce con pochi secondi di sorpresa. Nel secondo ti cattura con cinque minuti, appunto, di suspence. 
Questo effetto è quasi esasperato da un sapiente uso della macchina da presa, da una artificiosa manipolazione della luce, dall’asfissia di un ambiente claustrofobico o dal vertiginoso capogiro di una scala che sale su un campanile abbandonato. Hitchcock si è inventato gli scenari più incredibili, inserendovi gli attori come malleabili strumenti di un destino capriccioso, che sembra divertirsi a minarne la vita ordinaria attraverso gli imprevisti, siano essi l’intervento di un assassino o la persecuzione di una giustizia cieca. E per ogni situazione, il diabolico regista sembra scegliere un’inquadratura quasi bizzarra, per illudere lo spettatore di essere,anche lui, al centro della scena: talvolta faceva scavare buche sul pavimento per riprendere dal basso un dialogo o un omicidio.
E poi, naturalmente il sesso. Non certo inteso come grossolana stimolazione erotica, ma come origine e proiezione di irrisolti conflitti interiori. In un saggio di una decina d’anni fa Michel Onfray ha ridicolizzato la scientificità della psicanalisi di Freud, dimostrando, sulla base dell’epistolario del suo inventore, che l’intera teoria non era che la rappresentazione dei turbamenti infantili del Maestro, arbitrariamente estesi a tutto il genere umano. 

IL MEDICO
In realtà da tempo Popper aveva dimostrato che le elucubrazioni del medico viennese erano indimostrabili, e restavano solo ipotesi. E tuttavia è pacifico che alcuni turbamenti infantili possono incidere sull’evoluzione della nostra personalità. Per Hitchcock forse era così. Aveva avuto una rigorosissima educazione cattolica, che probabilmente ne aveva compresso, ed esasperato, le consuete fantasie dell’età. Poi, come spesso accade per i genialoidi, queste nevrosi si erano convertite in ossessioni, che ricorrono, benché dissimulate e contenute, in quasi tutti i suoi film di maggior successo: l’incesto, il voyerismo, il feticismo, fino alla necrofilia della Donna che visse due volte. Naturalmente lo spettatore non se ne accorge, catturato dalla curiosità e paralizzato dalla tensione. E tuttavia, rivedendo questi capolavori, il critico coglie le sfumature di una mente ardita se non proprio disturbata. Le sue attrici, per lo più algide e composte, inviano continuamente messaggi subliminali di raffinatezza perversa. 

LA SORPRESA
E quando questo atteggiamento si manifesta, esso investe lo spettatore come una sconcertante sorpresa: il modo in cui la regale Grace Kelly arpiona Cary Grant per un bacio improvviso in Caccia al Ladro, è molto più trasgressivo del più noto e duraturo labiale di Casablanca. E quando la stessa Grace viene aggredita dal sicario in Delitto perfetto, Hitchcock inquadra in primo piano i suoi piedi nudi che si dibattono nell’agonia del soffocamento. Un misto di sadismo e di allusione feticista che l’amabile prestigiatore introduceva di soppiatto, così come improvvisamente si inseriva lui, nei modi più ingegnosi, in una scena dei film. Hitchcock non fu solo un regista. Produsse e patrocinò una serie di telefilm, preceduti da una sua presentazione breve e spesso surreale, che noi conosciamo nell’inconfondibile doppiaggio di Carlo Romano. Non tutti furono all’altezza, ma alcuni sono dei gioielli. 

IL SERPENTE
Come quello del tizio che si sveglia con un velenosissimo serpentello accovacciatosi sulla sua pancia; o la vittima dell’incidente che tutti credono morto e invece è vigile, e può comunicare solo muovendo un dito; o infine – più bello di tutti – l’episodio della vecchietta che mette in vendita per cinquantamila dollari una casa che ne vale meno di un decimo, e che ovviamente nessuno vuole comperare. Finché un giorno arriva un cliente che accetta, e per festeggiare la padrona gli offre una limonata, raccontandogli che pochi anni prima suo figlio aveva nascosto in quella casa il malloppo di una rapina, ed era poi stato ucciso dal complice: l’unico disposto a pagare quella cifra, per poter recuperare il tesoro. E mentre l’esterrefatto acquirente ascolta questo atto di accusa, la limonata inizia il suo effetto.
Tutto sommato, questo genio, ambiguo come le sue creature, ha pienamente meritato il titolo di maestro del brivido. Nessuno meglio di lui ha evocato quell’enigmatica sensazione che i francesi chiamano la volupté de la peur sans le danger: il piacere di provare la paura sapendo che non sei in pericolo. Proprio come accade guardando i suoi film, nel rassicurante grembo di casa propria.