La Stampa, 25 aprile 2020
Storia del drive-in
Anche quando sarà terminato il momento di massima crisi, la pandemia che sta sconvolgendo il pianeta comporterà numerosi stravolgimenti nell’ambito dei costumi e dei rapporti sociali: nello spettacolo, alcune di queste rivoluzioni, muteranno il rapporto tra opera e fruitore, rischiando di cambiare, indirettamente, persino il senso ultimo delle opere in questione. Il mondo del cinema sta subendo enormi perdite economiche, sia per quanto riguarda la realizzazione che la distribuzione e la fruizione. Allo stato attuale i cinema sono chiusi, ma quanti esercenti potranno permettersi alla riapertura le spese di un locale nel rispetto delle regole di distanziamento sociale? È evidente il rischio del tracollo economico, e non c’è da stupirsi se l’industria cinematografica stia approntando soluzioni di emergenza.
La salvezza via streaming
Le case di produzione e distribuzione più potenti hanno avviato una programmazione in streaming, mentre sta prendendo piede l’ipotesi del ritorno al Drive in, non solo per quanto riguarda la normale fruizione di film, ma anche nel caso dei Festival. È necessario fare un passo indietro, riflettendo su cosa sia nella sua essenza il cinema, e su come analoghi tentativi siano stati messi in atto nel passato, con cambiamenti che sono rimasti nei costumi degli spettatori e nel linguaggio della settima arte. Sin dal 22 marzo 1895, quando Auguste e Louis Lumiere mostrarono L’uscita dalla fabbrica Lumière a Lione, il cinema ha rappresentato il linguaggio delle immagini in movimento da fruire al buio, in compagnia di sconosciuti, su uno schermo più grande degli spettatori. Questa rimane l’essenza del cinema, al netto di rivoluzioni di ogni genere, tecnologiche quali l’avvento del sonoro, e artistiche, già evidenti nei film di Georges Méliès: se i Lumière dichiararono che «il cinema è un’invenzione senza alcun futuro», quest’ultimo ne intuì invece le straordinarie potenzialità poetiche.
Da allora, ogni grande crisi ha generato cambiamenti di linguaggio, ma si è trattato quasi sempre di traumi che riguardavano l’interno dell’industria del cinema: a partire dagli anni Cinquanta, l’avvento dei televisori in ogni casa ha spinto i cineasti a realizzare film godibili nella loro interezza soltanto sul grande schermo. L’avvento del cinemascope, il Panavision e il Vistavision, senza contare l’uso del 70 millimetri nacque per contrastare il rischio di perdere spettatori a favore della televisione: David Lean sapeva perfettamente che solo al cinema si sarebbe potuto godere un film come Lawrence d’Arabia, per l’uso di straordinari campi lunghi alternati a primissimi piani che dominano fisicamente lo spettatore.
Dolby e Sensurround
Negli anni Settanta, l’avvento dei televisori a colori costrinse l’industria a sperimentare altri tipi di spettacolarizzazione, e nacquero il Sensurround, e, soprattutto, il Dolby, che debuttò con Arancia Meccanica. I Drive in, che oggi appaiono come una delle opzioni possibili per rispondere alla crisi pandemica, hanno avuto il momento di massima gloria tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Settanta: non è un caso che l’Arnold’s Drive in sia uno dei set principali della fortunata serie televisiva Happy Days, ed è sintomatico che la Disney, attentissima alle novità tecnologiche, lo abbia immortalato in FBI operazione gatto. Anch’essi hanno avuto una funzione anti-televisiva, rappresentando tuttavia un’entità nuova, nella quale la fruizione dello spettacolo è soltanto uno degli elementi, insieme alla possibilità di non limitare il mangiare al popcorn, e, soprattutto di rimanere appartati: è proprio questo l’elemento che li riporta oggi in auge, e nello stesso tempo ciò che li ha resi un set suggestivo per film diversissimi.
È in un Drive in che i due fuggiaschi di Sugarland Express si incantano a vedere i cartoni animati di Willy Coyote, ed è un set analogo quello in cui i protagonisti di Grease vedono Gioventù Bruciata: il cinema celebra se stesso individuando nel Drive in un luogo di sogno e intimità. Stanley Kubrick lo utilizza in un’importante scena di Lolita, mentre compare marginalmente, ma sempre in chiave di omaggio, in pellicole diversissime quali, Heat, Paris Texas, Alba Rossa, Christine e Acqua e Sapone di Carlo Verdone.
Celebrato con malinconia
Se i film ambientati negli anni gloriosi del Drive in identificano il luogo come un baricentro imprescindibile della formazione dei personaggi, quelli che lo immortalano retrospettivamente lo celebrano in maniera malinconica, come parte di un mondo scomparso: appartengono al primo genere American Graffiti e The Outsiders / I ragazzi della cinquantaseiesima strada, al secondo C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino. Provocatoria l’intuizione di Peter Bogdanovich, il quale ambienta Target nel momento della decadenza dei Drive in e immagina un killer che uccide gli spettatori nascondendosi dietro lo schermo.
Il suo amico e mentore Orson Welles aveva avuto invece un approccio elegiaco, mai immaginandone una possibile rinascita: L’altro lato del vento, completato proprio da Bogdanovich, che nel film appare come attore, finisce con una scena ambientata all’alba, nelle quale i primi raggi di sole fanno scomparire le immagini proiettate sullo schermo del Drive In.