Corriere della Sera, 25 aprile 2020
Louboutin e l’ossessione dei tacchi. Intervista
Quando il confinamento sarà finito e ci sarà voglia di celebrare la vita, tra le mille cose da fare una potrebbe essere accostarsi alla storia e al lavoro dell’«esibizionista», come Christian Louboutin definisce sé stesso. Chi scrive ha avuto il privilegio di incontrarlo a Parigi al Palais de la Porte Dorée, dove il creatore delle scarpe dalla suola rossa ha preparato la mostra L’Exhibitioniste: una sorta di autobiografia che celebra con molto umorismo e un’infinità di curiosità 56 anni di vita, disegni, dive, arte e tacchi alti.
Perché questa esibizione adesso? È un’auto-consacrazione?
«In realtà la mostra nasce per caso, mi è stata proposta dal museo, il Palais de la Porte Dorée, che frequentavo quando ero bambino perché abitavo in questo quartiere, nel XII arrondissement. Ospitava l’arte africana e dell’Oceania, c’era l’acquario, qui vicino c’era e c’è ancora lo zoo. Ho accettato con grande piacere perché tutto è nato qui».
Da quel cartello «vietato entrare con i tacchi»?
«Certo, che ho piazzato all’inizio dell’esposizione. Le donne con i tacchi non potevano entrare perché avrebbero rovinato il parquet, quell’immagine della scarpa vietata mi ha colpito: avevo undici anni, l’ho disegnata una volta e poi mille altre ancora. Così è nata la passione per i tacchi alti».
L’Exhibitioniste è anche un ritorno all’infanzia: ci sono le sue foto da neonato, i genitori. È la storia di una vita.
«Mi è piaciuto raccontare la storia di una persona, me stesso, non solo attraverso le sue creazioni. Ci sono le foto dei miei genitori e in particolare di mio padre, che ho rivalutato. Era un artigiano, un uomo dolce e poco invadente mentre mia madre casalinga tendeva a prendere tutto lo spazio. Ma a ripensarci adesso la cura per il dettaglio, l’amore per il lavoro ben fatto, credo di averlo preso da lui».
Quando ha cominciato a disegnare scarpe sapeva che sarebbe stato il suo mestiere?
«Per niente, per me era una cosa spontanea, divertente, come un tic, lo facevo di continuo. Erano altri tempi, non c’erano gli stage, era tutto lasciato molto al caso... Ricordo solo che disegnavo le scarpe di profilo e che quando ho capito che forse poteva diventare una cosa seria ho cambiato prospettiva, sono diventate di tre quarti. Disegnavo non più solo per me ma per gli altri».
Quando ha capito di avere svoltato, nel lavoro ?
«La data che fa da spartiacque è il 1991, quando ho aperto la mia prima boutique e lanciato il mio marchio».
E rispetto al fatto di essere diventato un’icona pop?
«Non c’è stato un solo momento. Adesso però mi viene in mente per esempio quando Jennifer Lopez ha inciso la canzone Louboutins e ha voluto sapere se mi piaceva».
Nella sua esposizione ci sono le immagini di tantissime celebrità. Da Aretha Franklin sul feretro con le sue Louboutin a Adam Driver che le esibisce fiero durante la trasmissione di Stephen Colbert, a Kristen Stewart che se le toglie sul tappeto rosso del Festival di Cannes. Che cosa pensa delle polemiche sul significato, secondo alcuni sessista, dei tacchi alti?
«Non capisco la polemica sui tacchi alti, che sarebbero uno strumento di asservimento all’immaginario maschile. Al contrario, penso che i tacchi alti siano un grande strumento di potere della donna. Guardate una persona straordinaria come Tina Turner, il mio idolo. O anche la stessa Kristen Stewart: ha il potere di mettere i tacchi e toglierli quando vuole. È lei a decidere, sono le donne a comandare il gioco. Dobbiamo rispettarle, non squalificarle trattandole da vittime».
Lei teorizza che chi vuole camminare comodo è meglio che non indossi le Louboutin. E qui vediamo i modelli che ha disegnato con David Lynch, fatti per non camminare proprio.
«È una sublimazione di quell’idea. Un gioco paradossale, un gesto artistico: scarpe che impediscono di camminare».