Corriere della Sera, 25 aprile 2020
Le piccole imprese Usa al centro della crisi
WASHINGTON Il virus sta corrodendo la «nail economy» americana. Milioni di lavoratori e lavoratrici temporanei, a cottimo o assunti con accordi precari, come quelli e quelle impiegate nei «nail salon», popolari negozi per la manicure, il taglio dei capelli e la cura estetica. Non è un caso se nei provvedimenti di riapertura presi dai singoli Stati «i servizi alla persona» siano sempre citati nell’elenco delle attività da rimettere in moto. Il Governatore della Georgia, per esempio, il repubblicano Brian Kemp ha deciso che «saloni di bellezza, laboratori di tatuaggi, barbieri e sale massaggi» possano tornare alla normale attività.
Bob Woodward racconta nel suo libro «Fear» (2018 edizione Simon&Schuster) che l’allora consigliere per l’economia Gary Cohn, ex di Goldman Sachs, provò a spiegare a Trump, appena arrivato alla Casa Bianca, che era inutile proteggere la manifattura: «La nostra economia non è più quella. L’80% del nostro Pil viene dai servizi». Cohn aggiunse un’osservazione che potesse risultare familiare al newyorkese Donald: «Se fai una passeggiata a Manhattan lungo Madison Avenue, o la Terza o la Seconda quello che vedi sono tintorie, ristoranti, negozi alimentari, banche, Starbucks e nail salon».
Nell’ultima settimana 4,4 milioni di persone hanno fatto domanda per il sussidio di disoccupazione ai singoli Stati. Sommando le richieste dell’ultimo mese si arriva alla cifra spaventosa di 26,5 milioni di persone. Quasi 10 milioni in più rispetto al momento più grave della crisi del 2008. Inoltre se si calcolano i cittadini che erano già senza un impiego prima che esplodesse la pandemia si arriva a 33 milioni, il che significa un tasso reale di disoccupazione del 20,6%. Il più alto dal 1934 a oggi.
Queste cifre raccontano quanto si stia rivelando fragile il tessuto dei servizi formato da miriadi di piccole imprese, cresciute in modo tumultuoso e spesso con regole labili. Prendiamo proprio i «nail salon»: nel giro di pochi anni, secondo i dati raccolti dal sito «Ibis World», sono diventati 1,2 milioni con 1,7 milioni di addetti in tutto il Paese, per un giro d’affari di 63 miliardi di dollari. Interessante il confronto con un big della manifattura: la General Motors fattura più del doppio, circa 150 miliardi di dollari, ma ha circa 140 mila dipendenti, un decimo dei centri di bellezza.
La serrata imposta dal Covid-19 ha colpito duramente i settori più «labour intensive» del sistema, facendo strage, quindi, di posti. La domanda, ora, è se si possa ricostruire quell’assetto dell’economia descritto da Gary Cohn a Trump. L’amministrazione sta pompando liquidità. Ieri il presidente ha firmato un altro pacchetto che prevede prestiti agevolati alle piccole imprese per 310 miliardi di dollari.