Corriere della Sera, 24 aprile 2020
La classifica delle aziende dove si lavora meglio
Offrono benefit flessibili, ascoltano e coinvolgono i collaboratori nelle decisioni e, naturalmente, garantiscono lo smartworking. Quello vero, però. «Invece, oggi in Italia sta andando in scena un remote-working, forzato dalle necessità», afferma Alessandro Zollo, amministratore delegato di Great Place to Work Italia, che premia le migliori società in cui andare a lavorare dopo un’analisi di clima aziendale. Per il 2020 (ma la ricerca è stata realizzata prima che scoppiasse la pandemia) in testa alla classifica delle big con oltre 500 dipendenti si è piazzata la filiale italiana di American Express seguita dalla catena di hotel dell’Hilton mentre al terzo posto c’è Msd Italia, la farmaceutica (consociata di Merck) guidata dall’ad Nicoletta Luppi. Che cosa fanno, in particolare? Il brand della finanza assume giovani talenti tramite un meccanismo di gioco virtuale che mette in luce le loro caratteristiche mentre all’Hilton ogni nuovo assunto può pernottare in hotel e fornire un feedback sull’esperienza.
Tra le aziende medio-grandi (fino a 500 dipendenti) Cisco Systems attiva nelle telecomunicazioni si impone davanti a Zeta service, altra realtà italiana guidata da una donna, Silvia Bolzoni, che gestisce buste paga e servizi professionali in outsourcing. Bandiera tricolore in testa al terzo gruppo di imprese (fino a 150 dipendenti). Vince ancora Bending Spoons, davanti a due realtà biotecnologiche (Biogen e Zoetis). Nella software house milanese che ha realizzato la app Immuni, Alice Valsecchi people operation manager spiega che esistono solo postazioni fatte da divani, amache, poltrone ergonomiche: «Zero posti fissi, ognuno si mette dove preferisce, in base al progetto su cui sta lavorando. E gestisce il tempo a seconda degli obiettivi: è sufficiente coordinarsi con il proprio team».
La nuova graduatoria esce da una indagine che ha coinvolto 58 mila dipendenti di 153 aziende: hanno risposto a un questionario anonimo con domande sulla fiducia nei manager, valutazioni sul proprio ufficio, giudizi su come l’azienda trattiene i talenti o viene incontro a chi è in difficoltà. Alla fine, soltanto 60 realtà sono entrate nei ranking.
Ma tutto ciò, il sondaggio e l’elaborazione, accadeva prima del Covid 19. «Sappiamo bene che questi dati non catturano l’effetto pandemico», spiega Zollo, «e crediamo che settori come turismo, retail, automotive subiranno impatti molto forti in termini di lavoro. Altri ambiti, come l’it, il farmaceutico e la logistica vivranno un momento di fatica e orgoglio perché stanno tenendo in piedi il Paese con il loro lavoro». E proprio le modalità sono mutate radicalmente, causa coronavirus. Naturalmente, il riferimento è allo smartworking che oggi è schizzato e ormai riguarda una popolazione stimata tra 6 e 8 milioni di persone (mancano dati ufficiali). Un salto in avanti enorme. Eppure, quello che oggi stanno facendo gli italiani è più un lavoro remoto forzato, ne è convinto l’esperto. «Manca completamente la libertà di decidere dove lavorare e spesso anche quando. Elementi fondamentali per stimolare la creatività e l’innovazione. Abbiamo rilevato una correlazione molto stretta tra la posizione nei ranking e la crescita del fatturato». E per il futuro? «Questo momento di lavoro a distanza va usato per fare leva su due aspetti: l’ascolto dei collaboratori con i loro bisogni e il binomio persona-tecnologia: fornire gli strumenti giusti e dare a tutti la possibilità di innovare». Magari anche uscendo dagli schemi.