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 2020  aprile 24 Venerdì calendario

Il problema del cacao in Costa d’Avorio

Il principale produttore di cacao al mondo, la Costa d’Avorio, si ribella alle multinazionali del cioccolato accusate di concorrenza sleale. Colossi come Nestlé e Mondelez (Milka, Oreo etc.) non avranno più la strada spianata nell’acquisto delle fave esportate per l’80% in Europa. Il Governo ivoriano ha deciso di supportare i commercianti locali, con un contributo di 5 centesimi di euro per chilo di cacao, almeno fino al 2022. Un’iniziativa mirata ad evitare la bancarotta delle principali società di esportazione locale non in grado di competere con i prezzi al rialzo imposti dai colossi stranieri come Barry Callebaut, il gruppo svizzero leader mondiale nel cioccolato industriale. Fino ad oggi, nonostante l’authority locale avesse imposto il prezzo di 1,38 euro per chilo di cacao, le multinazionali del cioccolato pagavano, attraverso mediatori locali, prezzi superiori anche fino 0,10 centesimi al chilo, mettendo fuori gioco gli esportatori africani. 
Eliminare gli intermediari
Il sogno dello Stato africano rimane quello di eliminare l’intermediazione e creare una catena di vendita del cacao diretta tra coltivatori ed aziende entro il 2025. A gravare sull’export anche l’assenza di magazzini di stoccaggio che costringono i coltivatori a vendere le fave di cacao il prima possibile e al miglior offerente. L’intervento del governo ivoriano mira a colmare questa lacuna anche con l’investimento di 380 milioni di euro in infrastrutture necessarie alla lavorazione del cacao, nel tentativo di aumentare i ricavi di un settore che vale il 10% del Pil. 
Nonostante la Costa d’Avorio produca 2 milioni di tonnellate di cacao all’anno, ossia il 40% del mercato mondiale, la lavorazione avviene ancora quasi tutta all’estero. Una minaccia anche per l’ambiente dato che nel Paese si stanno distruggendo le foreste per sostituirle con nuove piantagioni e mantenere i ritmi elevati della domanda. Dal 1990 al 2015 si stima che, solo in Costa d’Avorio, sia stato eliminato l’85% di foresta tropicale (dati dell’organizzazione ambientalista Mighty Hearth). Il modello da imitare rimane l’Indonesia che, in 10 anni, ha ridotto l’esportazione delle fave dall’80% al 5%, iniziando a produrre localmente polvere, pasta e burro di cacao.
Il «cartello» con il Ghana
La presa di posizione del governo ivoriano arriva pochi mesi dopo che, insieme al vicino Ghana ( da soli forniscono il 60% della produzione mondiale), erano riusciti ad imporre un prezzo minimo bloccato dei prezzi delle fave di cacao, pari a 2,6 dollari al chilo (stime World Cocoa Producers Organization). Da ottobre 2020, per la prima volta dalla scoperta del cacao nel 1600, saranno i grandi Paesi produttori a determinare il prezzo. Una sorta di cartello che potrebbe coinvolgere anche altri Stati africani vicini come Benin, Nigeria e Camerun. Una rivoluzione, dato che fino ad oggi i valori di acquisto delle fave di cacao erano decisi dalle grandi aziende dolciarie che si spartiscono circa il 70% del mercato. Un giro d’affari in continua crescita che ha raggiunto gli 85 miliardi di dollari e che, secondo un’analisi del centro studi Mintel, supererà i 102 miliardi di dollari nel 2022. 
Agricoltori sempre più poveri
Un altro piccolo passo verso il sogno di realizzare un «cioccolato etico» dato che se il consumo del cioccolato aumenta, soprattutto in Europa dove la media pro-capite è di 8 kg all’anno, al contrario i ricavi degli agricoltori sono addirittura in declino rispetto a 30 anni fa. La maggioranza dei circa 2 milioni di coltivatori di Costa d’Avorio e Ghana, in media guadagnano ancora 2,5 dollari al giorno (stime Fairtrade). Su una barra di cioccolato da 100 grammi, il cui costo medio è 3,5 dollari, al coltivatore africano vanno circa 0,15 centesimi. Per migliorare la vita degli agricoltori e garantire standard dignitosi bisognerebbe portare i prezzi a 3,6 dollari al chilo, ma è un primo segnale in questa direzione. Dietro alla levata di scudi dei due grandi produttori africani di cacao c’è anche il tentativo di risolvere il problema del lavoro minorile nelle piantagioni. Sarebbero ancora 2,2 milioni i bambini in Africa occidentale coinvolti nella raccolta delle fave (stime International Cocoa Initiative).