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 2020  aprile 23 Giovedì calendario

Perché infierire sulla salma di Arbasino?

Paolo Isotta, ieri, su questo giornale, ha avuto un’idea insolita. Ha deciso di seguire il funerale di Arbasino (o poco dopo) dedicando insulti al morto. La sorpresa è grande perché Paolo Isotta è un personaggio autorevole della vita culturale italiana, libero di sfogare un legittimo risentimento quando il destinatario della sua polemica può ancora rispondergli, libero di sfogare il suo misterioso rancore sulle pagine dei migliori giornali e delle più autorevoli pubblicazioni di cultura, per non parlare di eventi e convegni, in cui un critico come Isotta è sempre desiderato partecipante. Certo, mi rendo conto. Arbasino in vita, oltre che spiritoso, era (come Isotta, del resto) un vivacissimo polemista.
Ma perché aspettare il passaggio della salma per inveire? Stupisce anche la modestia delle accuse che il noto e apprezzato critico Isotta lancia al noto e apprezzato scrittore Arbasino.
Primo, Arbasino non vale Sciascia. A Sciascia spettavano gli elogi deposti sul feretro di Arbasino. Posso permettermi di dire: esempio sbagliato. A Sciascia, grande scrittore italiano, è stata dedicata mai interrotta attenzione critica e politica per decenni, Arbasino è appena morto e molto di ciò che scrittori, lettori e amici hanno detto a lui e di lui è legato al rapporto personale, all’aver lavorato insieme, all’affetto fraterno e (una folla molto più numerosa) al grande e inconsueto autore delle letture di mezza Italia per mezzo secolo.
Secondo, Isotta rimprovera la salma di essere incolta. È un po’ fuori tempo durante la tumulazione. E non è forse un po’ di cattivo gusto (l’ultima cosa che ti aspetti da Isotta) incaricarsi dell’ultimo esame di cultura a silenziosi candidati defunti? Peccato non aver dato un’occhiata alla New York Review of Books negli anni Novanta.
Terzo, Arbasino – dice Isotta – non sapeva niente di musica. Questo gesto di disprezzo è il più stupefacente. Ha avuto quattro decenni per dirlo (e, certo, avrebbe avuto dovuto ascoltare la risposta). Ma si sente che l’impeto funerario di Isotta si sarebbe sfogato di più se avesse avuto più spazio. Per capire tenete conto di questi frammenti di citazione: “Ero afflitto dal peso degli articoli su Repubblica (…) Erano soliloqui di recchia (…) costituiti dall’accumulazione di meri fatti, oggetti visti o musica udita”. “Si credeva elegantissimo. A Roma sarà riuscito a trovare un economico sarto di Voghera”. Credo proprio che Isotta abbia sbagliato giorno. E abbia sbagliato le accuse, tutte.

“Magistro sed omnia licet”
(Paolo Isotta)