Cavalca il suo ippogrifo meccanico, furioso almeno quanto Orlando, unica star della musica al mondo capace di gettarsi in imprese così mirabolanti, 4000 chilometri pedalati a inizio anno dalla cima del Cile giù fino agli estremi lembi dell’Argentina, da solo, con venti chili di bagaglio e una telecamerina con la quale ha filmato tutto. «Due mesi incredibili», racconta nel suo inarrestabile flusso di idee, «e quando sono tornato all’aeroporto di Fiumicino mi hanno puntato contro la pistola col termometro, e ho capito che stava succedendo qualcosa, appena in tempo per chiudermi dentro casa e pensare che dentro quel materiale c’era qualcosa, che potevo tirarne fuori qualcosa di più che delle pillole da postare sui social». Nasce così il “docutrip” intitolato Non voglio cambiare pianeta , 16 puntate in onda su RaiPlay a partire da domani.
Ma perché proprio RaiPlay?
«Perché sono un fan, credo di esser stato uno dei primi a scaricare l’app, perché sono cresciuto con la Rai che sperimentava, e RaiPlay mi sembra l’essenza, con la possibilità di sfruttare l’enorme patrimonio. L’altro giorno guardavo uno speciale su Ungaretti, oppure le interviste di Arbasino, e poi c’è stato Fiorello. Io condivido con lui il piacere di fare cose senza lo stress dei numeri, dello share, per poter fare il mio mestiere, che è quello di sperimentare nuovi linguaggi».
Ma nel frattempo è cambiato tutto, guardando la serie che attraversa luoghi, strade, montagne, sembra di assistere all’ultimo viaggio possibile…
«Sì, è vero, così come il Jova Beach Party sembra l’ultimo concerto possibile. Rivedo le foto e mi dico: ma sarà possibile rifare una cosa simile? Sembra passata un’era. L’altro giorno vedevo Contagion di Soderbergh, un film di dieci anni fa che sembrava assurdo e oggi sembra un documentario. In viaggio non pensavo a nulla del genere, credevo che nel mondo potesse accadere di tutto tranne questo. Ma allo stesso tempo il mio viaggio al momento è anche l’unico possibile. Potrebbe essere una specie di tutorial per la fase 2, perché c’è uno che mantiene la distanza di sicurezza, però attraversa paesaggi meravigliosi, pochi incontri e tutti emozionanti. Non riesco a immaginare un mondo senza viaggi, e quello che racconto io è senza tempo e senza modalità. Se mi metto in bicicletta, volendo, pedalo fino in Andalusia, non mi serve niente. Rinunciare al viaggio come avventura è grave soprattutto per un ragazzo. Ho mandato delle foto a Gabriele Muccino, mi ha risposto: sei pazzo, vivi come un ventenne. Poi ci ho pensato, non è vero, gli anni della formazione non finiscono mai, a 20 anni hanno un senso, a 53 un altro. Viaggiare è la passione da quando ero bambino e ora che posso lo faccio».
Non ha pensato di fare un Giro d’Italia, al di là del fatto che quest’anno salterà quello vero?
«Mi mancherà da morire, sono un appassionato maniacale, le donne di casa si domandano come si fa a stare quattro ore a vedere uomini che pedalano. Sì, devo dire che ci avevo pensato, ricordando anche il viaggio che fecero Mogol e Battisti a cavallo, ma il problema è che coi social attuali sarebbe folle, diventerebbe in un attimo una specie di Cantagiro, dopo 10 km avrei la coda di gente».
In questa incertezza, immagina di andare al festival di Sanremo 2021?
«Cos’è, uno scherzo? Siamo ad aprile, credo che nessuno sappia neanche bene come sarà il prossimo Sanremo, io non ne ho la più pallida idea. Sono amico di Amadeus, ha debuttato in un mio programma, come si dice, abbiamo fatto il militare insieme nella RadioDeejay di quegli anni, siamo fratelli, e per questo molti pensavano che sarei andato al suo festival, ma non se n’è mai parlato, e io ero a pedalare sulle Ande».
Mai avuto un momento di sconforto, solo, abbandonato in lande sconosciute?
«Mai, mi dispiace, sarei andato avanti altri sei mesi, ultimamente mi sono infricchettonito, hippizzato, dopo il Jova Beach Party , ho una nuova passione per un mondo di visioni diverse. È stata un’immersione nel corpo, nella fatica, non ho fatto la doccia per 24 giorni e non ho avuto un raffreddore, un’infiammazione, quando la mente viaggia non ci si ammala, lo so che mi spingo lontano, ma è così, se qui pedalo 12 ore di seguito mi ricoverano, e invece lì lo facevo, tra vento e pioggia. Per me è misterioso, non so spiegarti perché».
Riesce a immaginare la musica del dopo contagio?
«So solo che tutta la musica che esce ora, magari realizzata nei mesi scorsi, rischia di sembrare vecchia. Sono incuriosito dalla fase 2, ma anche dalla 3 e dalla 4, perché sicuramente nella fase 2 noi della musica non ci saremo. E questo è un dramma per i lavoratori legati agli spettacoli dal vivo. Mi dicono: al massimo arriviamo a settembre, poi sarà il panico. Ma la musica in sé cambierà certamente, anche nella forma, è inevitabile».
Sta già arrivando musica nuova?
«Sto scrivendo, sì, ma senza giudizio autocritico, seguo voglie nuove. Mi piacerebbe scrivere “la” canzone, quella della ripartenza, la canzone del nuovo mondo, ma credo che tutti quelli che oggi fanno musica ci stiano provando».