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 2020  aprile 23 Giovedì calendario

Così sta sprofondando il Sud

Finirà sui libri di storia quel paniere calato ai Decumani di Napoli? “Chi può metta, chi non può prenda”. La fame del Sud diventò una foto da prima pagina un mese fa, moltiplicata poi per mille panieri, per decine di migliaia di pacchi-spesa e spese sospese. Ma ora il welfare di strada, il vicino gentile, il lavoro del volontario non basta più. Non bastano, o non raggiungono tutti, gli ammortizzatori sociali, il reddito di cittadinanza. Davanti alla ripartenza, il Sud rischia di ritrovarsi più diseguale di prima: con un milione e 400 mila persone in più (precari, irregolari, domestici, in nero) vicine alla soglia di povertà, intorno ai 600 euro al mese.
E mai come oggi – spiega il direttore Svimez Luca Bianchi – sono da mettere da parte le folkloristiche contrapposizioni col Nord: Il Paese è uno, le filiere sono comuni, le aree economiche interdipendenti. Soprattutto in questa fase, chi produce vivrà grazie alla domanda interna. Perciò bisogna ripartire insieme.In epoca pre-Covid l’Italia era data in rallentamento, il Sud in stagnazione. E ora? I fronti sono tanti. L’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno in una ricerca mette a confronto le due crisi, quella del 2008 e quella di oggi. Il centro-nord (Lazio compreso) aveva quasi recuperato dieci punti di Pil: poi è arrivato il virus. Il centro-sud (con l’Abruzzo) entra in questa emergenza con 200.000 occupati in meno rispetto al 2008. «Purtroppo è già passato il tempo dell’unità nazionale, dei balconi imbandierati: la politica si divide e replica il solito schema: al Nord investimenti, al Sud assistenza. Al Nord meno tasse, al Sud reddito di cittadinanza. Pericolosissimo», spiega Bianchi.
L’allarme arriva dagli ultimi, dai sindaci, dagli imprenditori, dallo stesso governo. L’allarme finisce sulle pagine del New York Times che fotografa i pasti fatti in casa e offerti, si stupisce del monumentale ufficio di Jole Santelli alla Regione Calabria (ma lei lo ha solo ereditato). «La Caritas parla di una domanda enorme di assistenza nel Meridione» sostiene Tonino Perna, sociologo che ha sempre lavorato nella cooperazione. «Chiedono aiuto quelli che hanno fatto lavori marginali, pagati a spiccioli, l’indotto nero del nero». «Il Sud è una polveriera» ripete il sindaco di Palermo Orlando. Quello di Messina De Luca usa toni da forconi in diretta tv: «Siamo allo stremo, e le elemosine di Stato non ci servono, sospendete bollette e canone Rai». La ministra Lamorgese in Senato sottolinea il rischio criminalità, ora silente. «Deve essere una ripresa nel segno della legalità. Dobbiamo stare attenti a reati-spia come estorsione, usura e riciclaggio. La ripresa delle attività economiche sarà caratterizzata da un’assenza di liquidità».
Ecco quindi le imprese. Mariella De Florio è ad di una azienda di trasporti, la Simet: 60 pullman che coprono tratte interregionali. Per lei è crisi due volte: «150 dipendenti in cassa integrazione, viviamo di mercato, senza sostegno pubblico, anche se il nostro è servizio pubblico perché integra il trasporto in treno e aereo. Stiamo studiando come ripartire, ma non si capisce nulla. Allo Stato chiediamo risposte veloci e non burocrazia, e un rapporto con le banche più flessibile. Dai proclami e dai decreti che dovevano curare è passato troppo tempo e noi non abbiamo visto niente. Per rimettere sulle strade i nostri mezzi abbiamo bisogno di liquidità, subito. Ma le banche rispondono: aspettate metà maggio. Posso dirlo? Manca un indirizzo, manca preparazione, manca competenza. Così diventiamo preda e vittima della concorrenza straniera».
Luca Bianchi conferma: insieme all’emergenza sociale, ce n’è una di impresa: al Sud il rischio di default – secondo Svimez – è quattro volte più alto, soprattutto per le aziende più piccole. «È come se avessero meno ossigeno nelle bombole, sono più deboli dal punto di vista strutturale. Un peccato, perché negli ultimi tre anni si era vista una certa ripresa». E Bianchi suggerisce quello che De Florio ha chiesto: «Fare presto sui finanziamenti, vanno assicurate risorse adeguate, ci vogliono condizioni meno pesanti di credito e più attenzione ai singoli». Viene in mente la storia di Marco Di Giovanni, tre negozi a Palermo, mandato in rosso e con 20 euro in tasca alla scadenza del mutuo. Dimensioni di imprese differenti, stesso imbuto.
Come uscirne migliori? Per Bianchi è l’occasione per una ricostruzione del Paese, per la rifondazione di strutture pubbliche ormai troppo deboli. Per forme temporanee di sostegno ai singoli lavoratori colpiti dalla crisi legate a un’attività, non un’ulteriore forma assistenziale. «E il Paese ha bisogno, come dimostrano questi due mesi, di una istruzione realmente egualitaria». In questo campo entra il rettore di Arcavacata, Nicola Leone (Università della Calabria). Teme il tracollo di settori come il turismo, il calo delle iscrizioni in un territorio già debole. Ma regala un piccolo raggio di luce: «Abbiamo un polo informatico con aziende del livello di Ntt Data, molte Pmi. È il momento di allargare al Sud: abbiamo visto che il lavoro a distanza può funzionare in molti contesti. Localizzare nelle regioni meridionali, una grande potenzialità. Sarà difficile, ma dobbiamo farcela». E si torna ai piccoli grandi segnali: l’agricoltura che ha bisogno di braccianti regolarizzati, la richiesta di agrumi che cresce, il valore ritrovato dell’economia di prossimità e dei piccoli negozi. Ma tutto questo non basterà al Sud se il Paese resta quello delle liti e della palude burocratica.