La Stampa, 23 aprile 2020
L’arcobaleno di Damien Hirst
L’arco della speranza ha cambiato bandiera. Di nuovo. L’arcobaleno è abituato a essere preso in prestito, accoglie plurime cause senza rinnegarne nessuna, aumenta il raggio di azione, comprende, si presta a più di un’interpretazione e non teme usura. Non si logora mai, nonostante l’uso frequente. Adesso sta appeso ai balconi, sventola come fiero simbolo di ottimismo e vale per tutti, anche per chi lo contesta.
Può sembrare una scelta romantica, naïf: strati di colore stesi sopra l’ansia e, magari, le frasi scelte per accompagnarlo non sono forti quanto lui: «andrà tutto bene», «resistiremos». L’arcobaleno si oppone ai messaggi riduttivi perché ha una portata globale. E non ha ceto, non ha razza, non ha sesso, vale per la fantasia snob di Damien Hirst come per i ragazzini che ci intingono le mani dentro e lasciano impronte a tinte vivaci. Indelebili. L’arcobaleno d’artista è l’ultimo prodotto dell’emergenza, è scaricabile da Internet, popolare, glitterato, firmato da chi ha sezionato squali in formaldeide e tempestato scheletri di diamanti. Hirst ha sempre cercato di superare la morte e lo fa ancora, con un’iride potente che fodera la paura e se la porta via. Le copie originali, numerate, saranno vendute all’asta e il ricavato andrà al sistema sanitario britannico. Uno degli artisti più famosi al mondo che usa uno dei soggetti meno originali. Fascino dell’arcobaleno.
Stemma della pace dal 1961, simbolo dell’orgoglio gay dal 1978, la strada che porta al mondo degli dei, la porta del Nirvana, pagano e religioso. L’unico segno trasversale, l’arcobaleno non conosce banalità, forse perché si nutre di storie sempre nuove.
Sulle orme della dea Iris
Viene naturale usarlo come amuleto: è perfetto, è bello, è vivo e non inciampa nella superstizione che alla lunga lo stritolerebbe. In teoria avrebbe un diverso significato a seconda dei colori: sette per la pace, otto per le sfilate del Pride e la disposizione detterebbe la militanza, ma tutto si scioglie come cantava Judy Garland: Somewhere Over the Rainbow, dove i problemi si spremono nelle gocce di limone, in un mondo dove si battono i tacchi e voilà, «nessun posto è bello come casa mia». È proprio lì che sta l’arcobaleno oggi, ancorato a una ringhiera, fissato a una porta, legato a un cancello, costretto nell’ultimo domicilio conosciuto: la sede della quarantena. Eppure indica la via di uscita. Lo fa da sempre, dall’arca di Noè.
«L’arco sopra le nubi» che splende nella Bibbia, il segno della rinascita alla fine della tempesta. Gli antichi greci ne seguivano i passi, sulle orme di Iris messaggera delle divinità, e da lì è un attimo vederlo come ponte tra l’umano e il soprannaturale, secondo la voce delle culture nordiche. Per gli aborigeni australiani si muove come un serpente, va seguito però bisogna stare attenti. Pure nelle fiabe irlandesi, alla fine delle strisce colorate c’è la pentola d’oro, il tesoro che confonde. L’arcobaleno è abbagliante ed elusivo, indica una fortuna che non si può toccare, vale come mezzo, non come fine.
In versi e in musica
Quando Gilbert Baker, designer, attivista e drag queen, lo ha scelto per le parate in nome della diversità cercava «gioia e bellezza, la felicità di dichiararsi», un’esplosione di trasparenza che vale per l’umanità, e infatti il Pride ha sempre chiamato in strada chiunque, a prescindere dall’orientamento sessuale che occupa un solo pezzo, il rosa che include tutti.
Rosso per la vita, giallo per il sole, verde per la natura, celeste per l’estro, blu per l’armonia, viola per lo spirito e arancio per la salute. Il colore più attuale. L’arancio è il nuovo nero, va con tutto, ironia da serie tv che in realtà si riferiva alle divise dei carcerati Usa, ma l’arancio dell’arcobaleno dovrebbe andare davvero con tutto, è essenziale. Senza, è difficile considerare le altre tonalità.
Chiunque ha visto almeno un arcobaleno, è reale, è un fenomeno naturale e merita la fiducia delle meraviglie concrete. Vibra nelle canzoni di Bob Marley, Rainbow Country e libertà a ritmo di reggae. Diffonde saggezza dalle poesie di William Wordsworth: «Il mio cuore esulta al cospetto dell’arcobaleno che sta nascendo: come venendo al mondo; come nel sapersi uomo; così, nello scoprirsi vecchio». Per i buddisti è il puro spirito, per i maya era la corona di Ix Chel, madre giaguaro. Non ha un’origine, né un’appartenenza. Resiste agli anni e alle appropriazioni abusive. Senza radici e con tante anime è un faro ideale in una pandemia.