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 2020  aprile 23 Giovedì calendario

Storia della compagnia aerea Itavia

Chi scrive, ai tempi della strage di Ustica era un ragazzo di 19 anni. Sono passati 40 anni – il 27 giugno sarà ricordata la ricorrenza orribile – da quando il nome Itavia uscì per sempre dai tabelloni degli orari negli aeroporti ed entrò nelle cronache più oscure della storia dell’Italia moderna. 
Per chi c’era, la vicenda dell’Itavia si associa a una locuzione di quattro parole: il muro di gomma. La locuzione fu un’intuizione di un cronista d’eccezione e un ambientalista sensibile, Andrea Purgatori, oggi presidente di Greenpeace. Giornalista del Corriere della Sera, Purgatori cominciò a scavare nella strage di Ustica scontrandosi contro il silenzio atroce delle autorità civili e militari che gli opponevano una viscosità impenetrabile, appunto un muro di gomma. Ne venne tratto anche un film di valore.
La compagnia Itavia era nata a Roma alla fine degli anni 50 con una flotta di aerei a elica che conducevano servizi di linea dall’Urbe e da Ciampino, con collegamenti da Roma a Pescara, Ancona, Siena, Genova e altre città. Un ruolo particolare prese l’aeroporto di Bologna. 
Romana di testa, bolognese nei voli, l’Itavia aveva trasferito la sede legale a Catanzaro (via Settembrini) per godere dei sussidi della Cassa per il Mezzogiorno.
Negli anni 70 l’Itavia pilotata dall’avvocato Aldo Davanzali era una piccola ma agguerrita concorrente dell’Alitalia sulle linee da Bologna e sui charter. La flotta era frammentata non solamente in diverse varianti di Dc9, cioè gli aerei dalla linea slanciata e con due motori in coda che poi si trasformarono negli Md80, ma aveva esemplari differenti di altre tipologie.
Il primato del 1976, con quasi 900mila passeggeri trasportati e un migliaio di dipendenti, era minato da due condizioni. 
Primo, la gestione di una flotta arlecchino imponeva una manutenzione costosa, con un capitale ingente immobilizzato in un magazzino ricambi male usato. 
Secondo: l’Alitalia aveva una capacità potente di pressione e non ebbe difficoltà a soffocare spazi al fastidioso concorrente privato. All’Itavia veniva fatta fiutare la possibilità della concessione di linee remunerative, ma questa concessione non veniva mai data.
Così l’Itavia dovette forzare sui servizi charter, più redditizi, cui gli aerei venivano destinati cancellando i voli ordinari e lasciando a terra viaggiatori di linea.
La sera di venerdì 27 giugno 1980 da Bologna il Dc9 targato I-TIGI si alzò dalla pista di Bologna carico della vita di 81 persone. I bambini erano 13. Non arrivarono mai a Palermo. Nell’aeroporto di Punta Raisi le lettere bianche su campo nero dell’orario (tabellone marca Solari Udine) frullarono per ore la parola “cancellato”. E l’opacità è rimasta fino a oggi. Nell’immediatezza le autorità dissero: è stato un cedimento strutturale del Dc9. Poi dissero: è stata una bomba. Poi dissero: è stato un missile aria-aria ma i radar erano spenti. Poi dissero: c’erano aerei da guerra di molti Paesi ma passavano per caso. 
L’Itavia si dissolse. Le compagnie petrolifere non davano più cherosene a credito. Il 21 gennaio 1981 non furono rinnovate concessioni né licenze. La società fu posta in amministrazione controllata con un commissario, poi curatore, poi liquidatore. 
Il mare restituì solamente 38 degli 81 corpi.
Un mese e mezzo dopo la strage Ustica, era il 2 agosto, una bomba uccise 85 persone nella stazione di Bologna. Nell’immediatezza le autorità dissero: è esplosa una caldaia. 
Chi scrive, con la strage di Bologna era diventato un uomo di 19 anni.