Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  aprile 23 Giovedì calendario

Chisciotte e Amleto, fake catalane

Indizi sparsi ad arte nelle pieghe degli eventi storici, difficilmente verificabili. Scarse o nulle fonti scritte a supporto di rocambolesche teorie per avallare le origini catalane di Cristoforo Colombo, Leonardo da Vinci, Cervantes o Shakespeare. La storia della Catalogna ha suscitato grandi controversie negli ultimi anni, tutte intorno alle pretese scoperte dell’Institut nova història (Inh) di Barcellona, fondazione culturale dedicata a «smantellare la vecchia storia e distruggere il dogma». Ovvero quella che, a dire dei fondatori dell’Inh, Albert Codines e Jordi Bilbeny, sarebbe tramandata dagli storici di professione nelle scuole e università per «falsificare e manipolare», occultare la catalanità di protagonisti del glorioso passato, dal Medio evo alla modernità. Dai simposi sulla descoberta catalana d’Amèrica, ai libri a soggetto di “Storia riscritta per i castigliani”, con la tesi, cavallo di battaglia di Bilbeny, che in realtà il genovese Cristoforo Colombo era catalano e si chiamava Joan Colom i Beltran. Apparteneva a una famiglia patrizia di Barcellona del XV secolo, era nipote del fondatore della prima banca pubblica del mondo e – come no! – avo diretto dell’ex presidente della Generalitat, Artur Mas. Fino alle accuse di complottismo alla storiografia del Secolo d’oro, impegnata a cospirare contro il proto–federalismo della Corona di Aragona, per enfatizzare il suprematismo di quella di Castiglia nella costruzione del nascente stato spagnolo.
Una ricostruzione mitizzata della storia del Pais catalan, che include tutte le regioni catalano–parlanti come le isole Baleari o la Comunidad Valenciana, attraverso ricerche, convegni, documentari. E, nel 2013, perfino la creazione della prima Universitat nova història a Pla de l’Estany, in provincia di Girona, epicentro del movimento secessionista.
A lungo snobbata e liquidata come pittoresca negli ambienti accademici, si conferma ora che “l’altra storia” era foraggiata dalla Generalitat: tre milioni di euro di denaro pubblico pagati dal 2012 a due società di media di proprietà di Albert Codinas, per accreditate l’improbabile genesi catalana non solo di Colombo o Shakespeare, ma di Erasmo da Rotterdam, dello spagnolissimo Francisco Pizarro, di Hernan Cortes e, risalendo a ritroso, perfino dell’antica Roma e di Costantinopoli. Altri 184 mila euro pagati dal canale pubblico Tv3 per sei documentari prodotti dall’Inh dai titoli suggestivi, quali L’appropriazione della scoperta dell’America: una cospirazione di Stato, la cui premessa è che la Castiglia si è accaparrata tutto, dai conquistadores intrepidi ai buoni evangelizzatori, agli inquisitori. O per difendere la tesi che Miguel de Cervantes, il gigante del Chisciotte, in realtà altri non era che Joan Miquel Sirventa, catalano di Alicante e la cui autentica identità fu poi occultata dalla Santa inquisizione. Ad ammettere i pagamenti effettuati dal governo catalano è stato il vicepresidente, Pere Aragones, rispondendo all’interrogazione di un deputato socialista. Ma, a far saltare il puzzle del mito identitario “fai da te” è stata la comunità accademica, che ha deciso infine di rompere lo sdegnato silenzio col libro Pseudohistória contra Catalunya. De l’espanyolisme a la Nova Història (Eumo Editorial). Che mette a confronto le tesi dell’Inh con quelle della storia ultra– nazionalista spagnolista per dimostrare che si retro alimentano a vicenda. Autori, un gruppo di storici e filologi, capitanati da Vicent Baydal e Cristian Palomo, fra cui anche il medievalista italiano Stefano Maria Cingolani, radicato in Catalogna, dottore in filologia romanica alla Sapienza. Incrociando cronologie e fonti documentali, smontano in maniera metico- losa la fake history catalana, l’uso della storia come arma, affatto nuovo ma rapidamente diffuso su scala mondiale grazie alla massiccia eco nelle reti sociali. Intanto, nell’introduzione Vicent Baydal ricorda che Bilbeny non poté ultimare la sua tesi dottorale all’Università di Barcellona perché, per attribuire origini catalane a Colombo, aveva usato «argomenti e dati chiaramente falsificati», per cui dovette lasciare il lavoro di ricercatore universitario e fondare l’Inh.
Nel libro, Baydal e gli altri autori confutano una serie di «interpretazioni storiche che presentano la Catalogna medievale e moderna come un potere politico di scala mondiale». Occultato da un potentissimo apparato censore repressore controllato dalla Castiglia, che avrebbe perpetuato il più grande saccheggio culturale nella storia occidentale, per far credere al popolo catalano di non aver avuto una storia gloriosa, come si spiega nel prologo. In comune, quelle pseudo ricerche storiografiche hanno «l’appello costante a cospirazioni su vasta scala e le trame che i poteri faziosi avrebbero organizzato per impedire alla società di conoscere la verità». Oltre al tentativo di screditare costantemente i ricercatori e il mondo accademico.
Baydal non elude l’autocritica e riconosce, da parte dell’accademia, «pigrizia» nel ribattere a «così tante sciocchezze» e nel discutere tesi di chi ha «mentito in maniera cosciente», ma che non può più restare senza risposte. In ogni caso, la febbre di indipendenza in Catalogna non basta da sola a spiegare perché il gigantesco “photoshop” narrativo fatto dall’Istituto Nova història abbia avuto tanta presa sul pubblico.
Nel libro, César Sánchez sostiene che, oltre al motore rappresentato da internet, è stata Tv3, la tv catalana, la forza trainante con i documentari mandati in onda per corroborare le false ipotesi. Un revisionismo, osserva Baydal, visto «da un settore del nazionalismo catalano a corto di conoscenza storica come una risposta al canone spagnolo insegnato nelle scuole, che ha negato fino alla transizione la pluralità dei popoli della Spagna». In chiusura del saggio, l’auspicio di un impegno comune per la diffusione scientifica della storia, libera dai nazionalismi contrapposti, da parte di accademici e media, e con il sostegno pubblico.