la Repubblica, 22 aprile 2020
I manager italiani si tagliano (con calma) gli stipendi
I super-manager italiani iniziano (un po’ al rallentatore rispetto ai colleghi stranieri) a tagliarsi lo stipendio per dare il loro contributo al salvataggio delle aziende travolte dal coronavirus. L’onda lunga delle auto-riduzioni delle buste paga è iniziata a Wall Street dove ormai sono quasi 400 gli amministratori delegati – dai numeri uno delle compagnie aeree alla Disney, da McDonald’s alla General Electric – che si sono sforbiciati i compensi. In Gran Bretagna l’ha fatto il 25% dei boss delle 100 maggiori aziende quotate, soprattutto quelli costretti ad annunciare ristrutturazioni e stati di crisi. In Italia – dove la crisi ha già spedito in cassa integrazione quasi 5 milioni di persone a stipendio ridotto – i casi si contano per ora sulle dita di due mani con, al momento, la latitanza di gran parte dei manager di aziende pubbliche quotate che spesso hanno chiuso il 2019 con remunerazioni piuttosto corpose.
I primi a muoversi nel nostro paese sono state Fca ed Essilor-Luxottica. L’ad della multinazionale dell’occhiale Francesco Milleri – costretto a mettere in Cig i suoi 12mila dipendenti per la chiusura degli impianti – ha annunciato il taglio del 50% del proprio compenso per tutto il periodo dell’emergenza, mentre la società ha integrato con fondi propri gli assegni della cassa per i suoi lavorator,i portandoli fino al 100% del compenso reale. A fine marzo – in coincidenza con la serrata forzata delle fabbriche in Europa – si è mossa anche la galassia Fca con John Elkann e l’intero cda che hanno rinunciato in toto a tutti i compensi del 2020 mentre l’ad Michael Manley si è dimezzato quelli del secondo trimestre.
Anche il mondo della finanza, un passo alla volta, sta iniziando a fare la sua parte. Il numero uno di Unicredit Jean Pierre Mustier ha annunciato ieri la decisione di rinunciare fino a 2,7 milioni di compensi per quest’anno. Tutta la parte variabile della sua remunerazione e il 25% di quella fissa andranno alla Fondazione Unicredit. Philippe Donnet, amministratore delegato delle Generali si è autoridotto del 20% la componente fissa dello stipendio mentre Carlo Messina e 21 top manager di Intesa-SanPaolo hanno scelto una strada differente donando 6 milioni di euro dei propri bonus legati ai risultati del 2019 per l’emergenza sanitaria della pandemia.La “vecchia guardia” dell’imprenditoria privata tricolore, su questo fronte, si è rivelata molto più anglosassone e reattiva dei “boiardi” di stato. Marco Tronchetti Provera ha ridotto a metà il suo compenso nei prossimi tre mesi. I fratelli Diego e Andrea Della Valle – manager e azionisti – hanno deciso che per tutto il 2020 non ritireranno un euro di stipendio.
La via italiana all’austerity dei manager, insomma, è una questione di pura buona volontà che al momento non ha fatto molti proseliti. Negli Stati Uniti invece – specie nei settori più in crisi – l’idea che i vertici di un’azienda debbano fare sacrifici come tutti gli altri è molto più radicata. Tutti i super-manager del trasporto aereo, ad esempio, sono stati costretti più o meno in modo “spintaneo” dalla Casa Bianca a togliere qualche zero dalle loro remunerazioni come condizione preliminare prima di chiedere aiuti di stato. E le aziende che hanno ottenuto salvagenti pubblici in ogni forma vengono spesso pure costrette a sospendere i buy back e le distribuzioni dei dividendi. Un timido (e purtroppo largamente insufficiente) segnale per spostare la distribuzione del reddito d’impresa dalle tasche degli azionisti – spesso ben foderate di liquidità – a quelle dei lavoratori, l’anello debole della catena produttiva.