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 2020  aprile 22 Mercoledì calendario

I 70 anni di Paolo Pulici

Paolo Pulici, è vero che lei non fa gli anni, ma li segna?
«Eh, in giardino non ho neanche una porta con cui sfogarmi un po’...».
Solo il coronavirus poteva fermare Puliciclone?
«È dura doversi fermare e restare chiuso in casa. Ogni tanto faccio una passeggiata nei campi, abito fuori dal paese... Sa che cosa ho notato?».
Che la natura va avanti lo stesso, anche senza di noi?
"Esatto. È una lezione da imparare e ricordare».
Qual è la lezione che dovrebbe imparare il calcio da questa crisi?
«Credo che il calcio non voglia cambiare nulla: i guadagni sono troppo alti, non ci sono quasi più calciatori italiani e poi giocano per i soldi delle tv, mica per i tifosi».
Lunedì compie 70 anni: che regalo vorrebbe ricevere?
«Mi basta una telefonata o un messaggio da chi mi vuole bene e dagli ex compagni del Toro. Il pensiero è il dono più bello, però se posso esprimere un desiderio...».
Prego.
«Vorrei che il calcio mi regalasse una partita delle mie, quelle degli Anni ’70, perché la gente che veniva allo stadio si divertiva. Un tifoso va a vedere il tiro in porta o il possesso palla? Che poi per me si chiama "melina"... Noi lo facevamo sul 3-0 per non stancarci: solo che prima segnavamo tre gol e comunque il pubblico ci fischiava perché voleva adrenalina. Ora guardi una partita di Serie A e ci sono 10 tiri in tutti i 90 minuti: non è normale».
Dicono sia l’essenza del calcio moderno...
«Balle. Già 50 anni fa mi dicevano che il pallone non suda, tu per prenderlo sì... Noi con Radice facevamo 45 minuti di corsa continua, poi 20’ di ginnastica e poi altri 45’ di corsa continua. Correvo per 90 minuti e scattavo».
Aveva anche un record...
«Facevo i 100 metri in 10"5: oggi qualcuno ci riesce? E pensare che l’Inter mi ha scartato quando ero un ragazzino perché andavo troppo veloce. Se ne sono pentiti e hanno provato a prendermi, ma per fortuna c’era Pianelli».
Che cosa guarda in tv?
«Un po’ di Toro e poi Premier e Bundesliga. Due campionati che hanno mantenuto il calcio com’era: se ti va male vedi 30 tiri in porta».
I pulcini del Tritium restano la sua oasi?
«Non più dopo trent’anni, ma il virus non c’entra. Tornerò al campo e continuerò a scherzare con i bambini, ma non li alleno più da qualche mese: qualcuno ha fatto il furbetto con il mio nome e non è giusto».
I valori di Pulici non invecchiano...
«Io non sono vecchio: io sono antico. La roba vecchia si butta, quella antica ha valore».
Nel Toro ha giocato dal 1967 al 1982, segnando 172 gol in 436 partite. Che cosa c’è nella sala dei ricordi?
«Qualche maglia e tre palloni: quello dell’esordio in A, quello del 100° gol in campionato e quello di Torino-Cesena del 16 maggio 1976".
Il gol dello scudetto è quello più bello? Ce l’ha anche sul profilo WhatsApp...
«I gol sono come i figli: tutti belli. Ognuno di loro è diverso e speciale, penso anche al pallonetto che feci a Zoff e ha ispirato Messi...».
In che senso Messi?
«Me l’ha detto lui, quando l’ho incontrato a Milano prima di una partita di Champions contro l’Inter. Tutto questo perché Guardiola gli ha fatto vedere e rivedere il dvd "Semplicemente Pulici" con i miei gol. Io mi sono messo a ridere, ma Guardiola è così: l’ho conosciuto a Trezzo quando giocava nel Brescia e mi ha massacrato di domande sul Toro e sulla mentalità granata. Poi negli anni ho scoperto che le regole che avevamo noi al Filadelfia le ha imposte a tutto il Barcellona, dalle giovanili alla prima squadra. Con Guardiola ci sentiamo ancora adesso, vuole sapere tutto perché ripete sempre: "Le cose che funzionano, si possono replicare"».
Qualcuno del Toro ha mai fatto lo stesso?
«No. La mia ombra fa paura».
È questa la ferita più grossa della sua carriera?
"Sì, ma è una ferita che sanguina dal 1982. Io sarei rimasto nel Toro a vita».
Il rimpianto più grande, invece, resta quello di non aver mai giocato un minuto ai Mondiali?
«Nella vita ho avuto cose belle e cose brutte, ma questo resta un mistero. Pecci diceva che la maglia azzurra non la sentivo come quella granata. Può essere, ma c’era qualcosa che non quadrava: tre volte capocannoniere in A e Bearzot, che mi conosceva bene e mi faceva giocare nella squadra "De Martino" del Toro, non mi considerava proprio. Con il Vecio non ci siamo mai più parlati o chiariti».