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 2020  aprile 22 Mercoledì calendario

Anche la Scala finisce in cassa integrazione

Anche la Scala finisce in cassa integrazione. Sono i danni collaterali del Covid-19, le brutte novità dell’epidemia: a memoria di melomane, non era mai successo. In questo caso, la cassa si chiama Fis, Fondo integrazione salariale. Al Piermarini, Fondazione e sindacati stanno ancora trattando su come utilizzarlo; che lo si faccia, però, è scontato, forse già dagli stipendi di questo mese.
Il Fis prevede che lo Stato si faccia carico di una parte del salario dei dipendenti, da 939 a 1.129 euro, a seconda degli stipendi. Quel che manca per integrarli, e in che misura è appunto oggetto della trattativa, peraltro, pare, non cruenta e che si svolge in videoconferenza con il nuovo sovrintendente, Dominique Meyer, bloccato dall’epidemia sul suo posto di lavoro precedente, la Staatsoper di Vienna. Su tutta la questione restano delle incognite che dovrebbero essere risolte da un emendamento del decreto «Cura Italia» che stabilisce che i teatri possono usare i finanziamenti statali per integrare la cassa: insomma, il Fus in soccorso del Fis. In più, il Fis si applica per un massimo di nove settimane, insomma due mesi e un quarto, ed è molto improbabile che i teatri d’opera, anzi i teatri tour court, possano riaprire entro questa scadenza. Se è la prima volta che una misura del genere viene applicata alla Scala, la Scala non è certo il primo teatro a farlo. In varie forme, stanno ricorrendo al Fis il Regio di Torino, la Fenice di Venezia, l’Opera di Roma, il Comunale di Bologna, il Massimo di Palermo, mentre a Santa Cecilia si sta ancora trattando. Per esempio, al Maggio musicale fiorentino il Fis si applica alle masse artistiche; per gli altri, ogni mese è fatto di due settimane di smart working, una di Fis e una di ferie.
Sullo sfondo, resta il problema della riapertura dei teatri, sempre che la politica non colga il virus al balzo per chiuderne un po’. Il distanziamento pone problemi non tanto per il pubblico, quanto per lo spettacolo: far suonare un’orchestra mantenendo un metro fra un musicista e l’altro è improbabile, idem truccare qualcuno a distanza. «Insomma, il problema non è solo quando ricominciare, ma come», spiega Francesco Giambrone, sovrintendente a Palermo e presidente dell’Anfols, l’associazione delle fondazioni liriche.
Di ufficiale c’è nulla, ma le previsioni per i festival estivi sono nere, con ricadute micidiali sull’indotto. Alexander Pereira, sovrintendente a Firenze, dice che sarà «difficile» fare il Maggio a maggio, e ha già spostato l’Otello a fine anno. Quando si tornerà alla Scala nessuno può dirlo. Far coincidere la riapertura con la prima del 7 dicembre, Lucia di Lammermoor, è un’ipotesi, magari tenendo i contatti con pubblico e sponsor con qualche concerto all’aperto o iniziativa simile. Paolo Besana, portavoce del teatro, è verdianamente volitivo: «Abbiamo retto quando ci hanno bombardato, reggeremo pure stavolta». Come si dice a Milano: sperèm.