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 2020  aprile 22 Mercoledì calendario

La quarantena di Beppe Carletti

Allegro ma consapevole. In attesa. Perché in realtà è nomade (per eccellenza) da cinquanta e passa anni. Lui è Beppe Carletti. “Mi salvo con la musica, sono allievo e maestro”.
Cioè?
Mi do gli esercizi, li eseguo, mi correggo, e se serve rimprovero. Sono severo con me stesso.
Severo ma giusto.
Due ore ogni giorno.
Sua moglie.
Per lei non è il massimo avermi intorno, hanno le loro abitudini, e io mi innervosisco.
Non è abituato.
Un leone della foresta non lo puoi mettere in gabbia.
Oggettivo.
Sono 57 anni che passo la vita su un palco.
Sempre.
Solo dopo la morte di Augusto mi sono fermato nove mesi.
Aiuta in casa?
(Un urlo strozzato) No!
Mai?
Non faccio niente. Niente. E non mi chiedono niente.
Calibrati.
Al massimo scelgo il vino e porto in casa l’acqua.
Lavori da uomini.
Bisogna saper individuare il vino giusto.
Telefonate?
Tante, soprattutto con gli altri Nomadi.
Nostalgia…
(Tono basso) Siamo abituati a viaggiare per 80mila chilometri all’anno.
Tanti…
Nel 1982 eravamo arrivati a 220 serate; in quel luglio abbiamo suonato 31 sere su 31.
Forse vogliono lasciare a casa gli over 65…
(Scatta) Allora devono andare… (silenzio) a fa’ un bagno.
Si sente bene.
Benissimo. Mi alzo la mattina alle sei, e alle sette inizio a camminare intorno a casa.
Consigli su un libro.
Sepulveda, amo come racconta il Sudamerica.
Film?
Poco, o suono o leggo.
È la sua vita.
Secondo i miei, morirò su un palco.
Il suo habitat.
A nove anni ho iniziato con la fisarmonica, a 11 mi venivano a prendere per suonare alle feste; e mamma gridava: “Non gli fate fare tardi!”.
Quindi…
Non vedo l’ora di tornare a suonare. Con i Nomadi.