la Repubblica, 22 aprile 2020
Il cimitero del coronavirus a Milano
Sessantuno croci bianche spiccano sulla terra ancora brulla, appena seminata a prato, del Cimitero Maggiore di Milano. Il nome, la data scritti sopra, raccontano le storie dei milanesi sconfitti nella battaglia contro il nemico invisibile. I caduti del Covid. Al campo 87, c’è il primo cimitero di guerra in tempo di pace, l’unico del genere nel mondo occidentale: seicento posti dedicati a chi è morto lontano dai suoi cari, ostaggi del coronavirus. Seppellito alla presenza solo dei dipendenti del comune, perché i parenti erano in quarantena, in terapia intensiva. Senza la possibilità di reclamare il corpo, entro i cinque giorni previsti dalle ordinanze, e organizzare il funerale.
Alla periferia della metropoli, ferita dalla pandemia che ha spezzato famiglie e cancellato una generazione senza concedere neppure la consolazione del rito funebre, c’è il luogo dei passi perduti. Quelli che mogli, figli e compagni avrebbero voluto fare per salutare le persone con cui avevano diviso sogni e speranze.Un campo per non dimenticare, per ritrovarsi quando sarà possibile. Una scelta di amore e rispetto per i milanesi voluta dal Comune, che da anni si occupa di dare sepoltura ai dimenticati, ai senza famiglia, a chi non ha i soldi per la cerimonia. Questa volta però è stato scelto un unico luogo, un unico campo per le vittime dell’epidemia. Perché una volta guariti i parenti possano ritrovare, chiamando il Comune, chi hanno amato: avere un numero, una fila, una croce dove piangerlo o per organizzare l’ultimo vero viaggio. Esaudendo le sue volontà: tornare nel luogo dov’era nato o essere sparso come cenere al vento, nel mare.
Memoria e rispetto per chi se n’è andato, per chi non ha potuto neppure salutarlo. Un atteggiamento lontano mille miglia dall’immagine angosciosa della profonda fossa di Hart Island, a New York, dove ogni giorno vengono gettate, seppellite una sopra l’altra, accatastate come oggetti di poco valore decine e decine di bare di pino, quelle che vengono via a poco prezzo. Dentro i corpi di chi nessuno ha reclamato. O potuto reclamare.
«Milano ha retto, ma ha pagato un prezzo altissimo. Abbiamo perso molti dei nostri figli, in alcuni casi il passare oltre è stato ancora più tragico perché alcuni lo hanno fatto senza nessuno a fianco, o, senza famiglia. Questo spazio è quello dove sono stati sepolti coloro le cui spoglie non sono state richieste da un familiare, la tragedia nella tragedia », ha detto il sindaco Beppe Sala. Milano questa volta non ha guardato a New York, anzi, per non lasciare i corpi abbandonati negli obitori il Comune si è fatto carico di tutto, dalle spese all’organizzazione della sepoltura in questo luogo. Dove restare per sempre o provvisori.
Un luogo di attesa. Fino a quando mogli o figli, marito e compagne non saranno ristabiliti e in grado di portare chi amavano dove aveva chiesto: il paese natale, il mare dove nuotava da ragazzino.
Per questo al campo 87 non si potranno costruire monumenti funebri per due anni. Solo prato e croci bianche, come i cimiteri di guerra dalle lapidi tutte uguali.