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 2020  aprile 22 Mercoledì calendario

Gli speculatori parcheggiano in mare il petrolio

I depositi delle raffinerie sono pieni di petrolio. Le riserve strategiche degli Stati – Usa compresi – non hanno più spazio nemmeno per una tanichetta di carburante. Cisterne e autobotti sono stracolme. E così speculatori e big dell’oro nero – pieni di materia prima che non vuole più nessuno – giocano l’arma finale: parcheggiare il greggio invenduto in alto mare. A bordo di superpetroliere lunghe come tre campi di calcio capaci di caricare 2 milioni di barili l’una. Obiettivo: tentare il colpo grosso. Ovvero tenere il carico in stand-by per non svenderlo oggi, in attesa di una rimbalzo dei prezzi che consenta di guadagnarci domani.
La corsa all’accaparramento delle Very large crude carriers (Vlcc) – come si chiamano questi bestioni lunghi oltre 300 metri – è iniziata a febbraio. Allora solo una decina delle 750 navi della flotta mondiale erano state trasformate in “depositi galleggianti”. Oggi sono già ottanta, ferme alla fonda davanti a Singapore e nel golfo del Messico con in stiva 160 milioni di barili, il 60% in più del record dopo il crac Lehman. La febbre da maxi-tanker – dicono oltretutto gli analisti – è destinata a salire: il greggio sotto zero ha fatto schizzare la domanda di superpetroliere alle stelle. E malgrado il prezzo d’affitto sia balzato fino a 350 mila dollari al giorno – quasi il 700% in più del normale – le Cassandre vaticinano per fine maggio la trasformazione di 200 imbarcazioni in mega-parking dell’idrocarburo.
Il gioco, dicono i guru, vale comunque la candela. Le aziende di mezzo mondo sono chiuse. Gran parte degli aerei mondiali (grandi consumatori di kerosene) è a terra, le auto sono ferme. E l’offerta di petrolio – nonostante i 9,7 milioni di barili al giorno tagliati dall’Opec (l’organizzazione dei Paesi produttori) – supera di gran lungo la domanda, crollata ad aprile del 30%, ai minimi dal ‘95. E malgrado molti giacimenti abbiano fermato le pompe – negli Usa è attiva solo la metà dei pozzi – ogni giorno vengono estratti 9 milioni di barili in più di quelli che si consumano.
L’effetto non è solo il crollo del prezzo. L’altro dramma è che non c’è più posto dove conservare la marea nera in eccesso. Le cicale che non hanno depositi a disposizione sono state costrette a liberarsene a prezzi da saldo, facendo crollare il valore del barile – con la spinta decisiva dei derivati e della speculazione – in territorio negativo. Le formiche che hanno affittato le superpetroliere hanno invece assistito alla “carneficina” sui mercati fregandosi le mani: i due milioni di barili parcheggiati in alto mare su ogni Vlcc – al prezzo di oggi – valgono zero o quasi. Al prezzo dei contratti per consegna del petrolio a giugno – 18 dollari al barile – valgono invece 36 milioni. Cifra che rende economici anche prezzi d’affitto delle supernavi molto maggiori di quelli attuali.
La mossa del “contango”, come gli squali di Wall Street chiamano queste operazioni ad alto rischio, è un classico dei periodi di alta volatilità in cui chi ha buon fiuto (e una certa dose di fattore “C") può guadagnare tanti milioni in po che ore.
Il “Maradona” del settore è da sempre Andy Hall, talentuoso trader di materie prime della Phibro che nel 1990, alla vigilia dell’invasione del Kuwait, convinse il management della società a fare una scommessa da roulette russa: affittare una valanga di cisterne e autobotti e riempirle di greggio puntando sull’esplosione del conflitto nel Golfo Persico. Previsione azzeccata: appena le portaerei Usa hanno iniziato a lanciare i missili su Baghdad, le quotazioni del petrolio hanno messo le ali. E la Phibro ha venduto il suo “tesoretto” guadagnando 100 milioni in un pugno di giorni. Lo stesso che coltivano oggi i furbetti del petrolio che hanno puntato tutto sulle maxinavi in affitto.