La Stampa, 21 aprile 2020
Petrolio, la guerra sotterranea fra sauditi e russi
Le estrazioni in Russia e Arabia sono destinate a scendere dal primo maggio dai 10,6 e 10,7 milioni di barili attuali a 8,5 per entrambi i Paesi, in base all’accordo raggiunto nell’ultima riunione dell’Opec allargata a 23 partecipanti. La decisione ha messo fine ufficialmente alla guerra dei prezzi scatenata dal mancato accordo del 4 marzo, quando Riad ha aperto al massimo i rubinetti e fatto crollare le quotazioni. Ma dietro la facciata delle ritrovate buone relazioni, confermata da un colloquio telefonico fra Vladimir Putin e il principe ereditario Mohammed bin Salman, lo scontro fra le due superpotenze petrolifere continua. Riad ha lanciato un’offensiva a colpi di sconti sui mercati asiatici ed europei, punta a rubare quote di mercato ai russi, e finisce per mettere in difficoltà anche i produttori americani.
I prezzi per giugno a 20-25 dollari
Gli equilibri mondiali si giocano in questi mesi folli. Finita la crisi del coronavirus, il grosso della crescita della domanda arriverà da Cina, India, Corea e altri Paesi asiatici. Chi si posiziona meglio dominerà il mercato. È un mercato a vasi comunicanti e quello che succede in Asia impatta in Europa e in America. Questa mattina, dopo le quotazioni surreali di ieri, il Wti texano è rimbalzato nelle Borse asiatiche ed è tornato sopra lo zero. I prezzi per giugno sono più indicativi: il Wti è a 20 dollari e il Brent è sceso sotto i 25, con uno scarto più realistico di circa 5 dollari. Il West Texas Intermediary (Wti) e il Brent North Sea Crude (Brent), rappresentano le migliori qualità di greggio sul mercato e fanno da punto di riferimento per i prezzi. Le quotazioni del Brent coprono i due terzi del mercato mondiale e determinano il costo dei carburanti in Italia. Ed è qui che si scontrano Russia e Arabia Saudita.
Oleodotti verso la Cina e petroliere verso la Corea
I russi hanno appena lanciato l’oleodotto Espo che li collega direttamente alla Cina e, via il terminal di Kozmino, a Corea e Giappone. I sauditi hanno subito reagito con sconti aggressivi ai coreani, fino a 5 dollari in meno rispetto alle quotazioni di mercato. I russi hanno dalla loro parte costi di trasporto più bassi, grazie agli oleodotti, mentre i sauditi devono affittare superpetroliere, a prezzi sempre più alti in questo periodo di eccesso di offerta e stoccaggio. Dalla loro hanno però le basse spese di estrazione, appena 3 dollari per un barile contro i 18 dei russi. Il costo negli Usa è invece fra i 43 e i 53 dollari. Il calo nelle estrazioni negli Usa è stato contenuto. Da un massimo di 13,1 milioni a metà marzo si è passati a 12,3 a metà aprile. Questo spiega in parte i prezzi negativi negli Stati Uniti.
Il greggio di Riad verso la Polonia (e gli Usa)
Riad ha cercato di approfittare delle quotazioni in calo anche per recuperare quote di mercato negli Stati Uniti, dove le esportazioni per maggio sono previste a 600 mila barili, la quota più alta da due danni. Il presidente Donald Trump ha però subito reagito e minacciato di bloccare l’import: «Abbiamo petrolio in abbondanza, ci sto pensando», ha detto. La relazione fra Washington e Riad è strategica, risale all’incontro fra Roosevelt e Re Abdulaziz a bordo della USS Quincy nel febbraio del 1945, determina gli equilibri petroliferi e quindi c’è da aspettarsi che i sauditi punteranno su altri sbocchi, per non innervosire gli alleati. Per esempio hanno concluso accordi con la Polonia, dove ad aprile hanno esportato 560 mila tonnellate di greggio, circa 100 mila barili al giorno. Varsavia, in compenso, non ha importato neanche un barile del greggio di alta qualità russo, l’Ural, e altrettanto farà in maggio. La compagnia di Stato saudita Aramco è sempre più aggressiva, consente ai clienti europei di pagare a 90 giorni dalla consegna. Adesso punta a recuperare quote in Italia, Francia e Germania.