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 2020  aprile 21 Martedì calendario

Intervista all’inventore della linguaccia degli Stones

La boccaccia che gira da 50 anni non ha perso il suo spirito ribelle. La lingua simbolo dei Rolling Stones è diventata sinonimo di rock, una reazione al divieto, uno sberleffo, uno sfogo lecito, l’icona della complicità. È nata nell’appartamento di Mick Jagger nel tardo aprile del 1970. Tre sessioni per creare il disegno del nostro tempo: mezzo secolo in cui il mondo si è trasformato mentre la lingua è rimasta lì, vivace, sempre attuale, «semplice, riproducibile e felicemente trasgressiva». La definizione è dell’uomo che l’ha inventata, il designer John Pasche, e le labbra non sono quelle sensuali di Jagger. 
Come è riuscito il logo a resistere alla vecchiaia? 
«È così immediato che passa alle nuove generazioni senza alcun bisogno di spiegazioni. Funziona perché è una provocazione inoffensiva, si ribella senza insultare. La linguaccia non è rispettosa e non è neppure un insulto: è un brivido di libertà». 
Da dove arriva l’ispirazione? 
«Sono stato chiamato dal manager dei Rolling Stones per un poster, ero uno studente al Royal College of Art. Quando ho incontrato Jagger mi ha bocciato la prima idea, ma la seconda gli è piaciuta abbastanza da commissionarmi un logo. Il primo schizzo era una riproduzione della dea Calì, vista in un negozio vicino alla casa di Jagger». 
Che cosa ricorda di quell’incontro? 
«Mi tremavano un po’ le gambe. Come ci si comporta con una rockstar? Invece mi sono trovato davanti un uomo d’affari. Jagger sapeva che cosa voleva, era molto chiaro nel chiederlo, mi ha spiegato il genere che non gli sarebbe piaciuto. Ogni opinione era netta, bianco o nero». 
Quando ha capito che il logo nato per una tournée sarebbe diventato un marchio? 
«In fretta. Era potente e lo pensava anche la band, quindi si sono lasciati rappresentare dalla bocca». 
Che oggi esiste anche a prescindere dai Rolling Stones. 
«Non ne sono così sicuro. Vive da sola, ma si porta dietro la sua anima rock e la longevità dipende dal fatto che il gruppo non è mai cambiato. Non sono diventati solisti, non hanno rivoluzionato l’immagine. Se esiste un bambino che scopre la lingua per conto proprio dopo due minuti viene pure a sapere dei Rolling Stones». 
Quanto valeva la lingua nel 1970? 
«Pagata 50 sterline, più un bonus da 200 dopo l’immediato successo. Ha continuato a fruttare il 10 per cento sul merchandising fino al 1982, poi l’ho ceduta». 
Perché? 
«La legge sui diritti non era chiara, una causa sarebbe andata avanti in eterno, ho preferito farmi liquidare». 
Ha più parlato con gli Stones? 
«Li ho rivisti all’inaugurazione di una mostra sulla loro storia, a Londra. Ho avvicinato Jagger e gli ho detto "si ricorda di me?". Ricordava tutto, anche gli incontri del 1970». 
Altre band si sono presentate alla sua porta in cerca di uno stemma come la lingua? 
«Sì, molti. Ho lavorato nella musica per quasi tutta la carriera. Ma la trovata che diventa messaggio globale è un colpo da una volta nella vita». 
Se guarda adesso il disegno che cosa ne pensa? 
«Ha un gran bel design, non sarebbe diventato popolare altrimenti. I Settanta erano anni di rottura ed è stata una fortuna perché quella linguaccia ha avuto una spinta notevole, una diffusione immediata. È rimasta una piccola contestatrice che chiunque può prendere in prestito». 
Dicevano che l’avesse inventata Andy Warhol.
«Per un po’ ha circolato questa diceria. Lui non ha mai smentito e a me ha fatto piacere, era un maestro».
Ha la maglietta? 
«No. La indossa chiunque conosca, compresi mia moglie e mio figlio, ma io sarei imbarazzato a portarla». 
Quando ha conosciuto sua moglie non si è presentato come il creativo che ha disegnato la bocca per Jagger? 
«No. Non gliel’ho mai detto, dopo un po’ lo ha scoperto da sola e si è informata "ma l’hai fatto tu?". Ho cacciato fuori la lingua. È un gioco, un capriccio che fa simpatia. Può resistere altri 50 anni».