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 2020  aprile 21 Martedì calendario

Carlo Ratti spiega come cambieranno le città

Le infrastrutture restano, ma la nostra vita cambia. «Il fatto che le città vadano riprogettate da zero dopo la pandemia, mi sembra una pia illusione di qualche collega». Eppure, secondo Carlo Ratti, «molte cose cambieranno nel modo in cui viviamo e utilizziamo gli spazi urbani». L’ingegnere, architetto e designer, risponde al telefono da Boston, la pandemia ha interrotto le sue lezioni di "Innovazione urbana" al Mit, ma non la creatività del suo gruppo (Carlo Ratti associati) che, a tempo di record, ha ideato un’unità di terapia intensiva in un container, per le Ogr di Torino. Ma qualche trasformazione c’è anche a casa: "In questi giorni di chiusura forzata mi sono fatto una piccola scrivania da battaglia in terrazzo". 
Come cambieranno le nostre città?
«Nel software e non nell’hardware. Non nelle grandi infrastrutture fisiche. Ma nel modo in cui le viviamo».
Ci spieghi meglio.
«La peste del Trecento sterminò il 60% della popolazione di Venezia. Eppure noi continuiamo a passare per le sue calli. La Spagnola causò la strage che sappiamo, nonostante ciò dopo arrivarono gli Anni Venti, che per alcune città, pensiamo a Scott Fitzgerald, furono un tripudio del vivere urbano. Le città sono lì da 10.000 anni, ne hanno viste molte, pandemie comprese, prima o poi supereranno anche questa. D’altronde che cos’è una città senza le persone?».
Il telelavoro porta con sé delle trasformazioni?
«Ho letto un grande capitano di industria italiano affermare con stupore che ora la gente lavora da casa. Forse con un decennio di ritardo ha scoperto il telelavoro. Ovvio che questo comporterà dei cambiamenti: se meno persone vanno a lavoro, si ridurrà il traffico nelle strade e magari alcuni degli enormi spazi occupati dagli uffici potranno essere riconvertiti. Forse in questo modo si potrà venire incontro alle esigenze abitative dei giovani, che in molte città hanno difficoltà a trovare un appartamento. Questo surplus di spazi può causare la discesa dei prezzi».
La mobilità cambierà?
«Ci sarà una fase dove sarà più complicato prendere i mezzi pubblici. A giovarsene potrebbe essere la "micromobilità", fatta di monopattini e biciclette. In questo modo, si unisce l’esigenza della sicurezza sanitaria a quella della trasformazione ecologica già in atto».
Tutte queste videoconferenze lasceranno il segno?
«Sì. Lo smart working richiede una separazione fisica all’interno della casa. Va evitato, in sostanza, che durante una conference call su Skype passi dietro qualcuno in mutande. In questi giorni, a causa della permanenza forzata, è tornato a contare molto il concetto di "Existenzminimum", bisogno minimo di abitare, nato durante la repubblica di Weimar, la cui costituzione garantiva appartamenti adeguati e salubri». 
Gli spazi affollati vanno ripensati? Qualcuno dice: gli stadi cambieranno. E’ così?
«Non penso. Il bello dello stadio è stare insieme. Se gli spettatori devono stare a un metro e mezzo di distanza gli uni dagli altri cosa vanno a fare allo stadio?». 
È stimolante per un creativo una fase così?
«La crisi ci obbliga a rispondere. In questi giorni abbiamo messo in contatto i nostri di team di Torino, Singapore e New York ne sono uscite cose molto interessanti». 
Ce ne dica alcune.
«Alle Ogr di Torino abbiamo ideato un’unità di terapia intensiva in un container». 
Dobbiamo aspettarci altro?
«Stiamo lavorando a un sistema per sterilizzare gli abiti, che toglie gli odori e persino le tarme». 
Nel frattempo però è in arrivo una crisi economica drammatica, dai contorni ancora non definiti. Sarà così dura?
«Temo di sì. Qui negli Stati Uniti ne abbiamo avuto una prova, in poche settimane siamo passati dal record positivo di occupazione, al record di disoccupati. Ma insisto: dobbiamo cogliere le opportunità per reinventarci».
Come sta reagendo l’Italia vista da lì?
"L’Italia sta reagendo bene. Warren Buffett diceva: "Dopo lo tsunami si vede chi nuotava nudo". È il momento in cui i ciarlatani, i propagatori di fake news, perdono seguito».