Corriere della Sera, 20 aprile 2020
Che cinema troveremo dopo la pandemia?
L’allarme l’ha dato Jean-Michel Frodon su Slate.fr. Già direttore dei «Cahiers du cinéma» e ora professore a Sciences Po, Frodon si chiede con una certa apprensione che tipo di cinema e soprattutto di pubblico troveremo alla fine di questa pandemia. La domanda non è per niente retorica perché il blocco dovuto al Covid-19 non sta fermando solo la produzione di nuovi film ma rischia di modificare profondamente l’atteggiamento e le aspettative del pubblico. Come si sa, il «dispositivo cinema» si fonda da una parte sulla capacità di creare nuove forme con le immagini (che non è quello che fanno le serie televisive, che lavorano sulla durata e la narrazione) e dall’altra sul desiderio delle persone di ritrovarsi in una sala buia a vedere ciò per cui hanno pagato un biglietto (è per questo che il cinema non è nato quando è stata impressionata la prima pellicola, ma quando qualcuno ha pagato un biglietto per vederlo, il 28 dicembre 1895). Ritroveremo questo desiderio dopo mesi in cui ci siamo «abituati» a subire passivamente quello che ci è stato offerto in chiaro o in streaming? Non rischiamo di abituarci a un linguaggio meno esigente e mero rigoroso (Montalbano non è La donna che visse due volte, né un selfie è un ritratto di Irving Penn)? Possono sembrare questioni di lana caprina, mentre tutto il mondo è alle prese con la sopravvivenza e la recessione, ma sono problemi che fra qualche mese diventeranno essenziali: se siamo convinti che il cinema (e la musica e il teatro e l’arte) siano strumenti indispensabili per la crescita culturale di un Paese, per la loro forza di aggregazione e di socializzazione, allora non dobbiamo preoccuparci solo di chi produce (cui deve andare tutto il nostro aiuto), ma anche della qualità di ciò che si produce, della sua capacità di riaccendere il nostro desiderio e di sorprenderci. Altrimenti non basterà un vaccino per sconfiggere questa pandemia.