Corriere della Sera, 20 aprile 2020
Intervista al generale Salvatore Farina
Generale, una delle immagini più iconiche, più impattanti, più terribili di questo periodo rimarranno le bare a bordo dei camion dell’Esercito che lasciano la provincia bergamasca.
«Mi sono commosso, ho provato dolore e senso di impotenza, sentimenti vissuti da tutti i concittadini e dai nostri militari. Difficile per noi, che nel servire le istituzioni accettiamo anche le più estreme conseguenze, difficile per chiunque lavori per salvare delle vite in corsia e immensamente più difficile per i familiari delle vittime ai quali estendo il mio più profondo cordoglio. Erano nonni, genitori e figli, uomini e donne private del conforto dei propri cari e vinti dalla malattia, ai quali i nostri soldati hanno tributato con rispetto e riservatezza l’ultimo commosso saluto».
Su quelle ore, su quei giorni, il generale di Corpo d’armata Salvatore Farina, 62 anni, nato a Gallipoli, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, ha imposto il silenzio. Nessuna dichiarazione. «Soltanto il silenzio».
Anche lei si è ammalato di Covid-19.
«Un nemico occulto, veloce e potente. Per quanto possa sembrare scontato dirlo, è una prova per il fisico ma soprattutto per la mente. L’ho affrontata con serenità, coraggio e massima fiducia nelle istituzioni medico-scientifiche e governative. Una prova che mi rende empaticamente vicino a tutti quelli che stanno lottando in questo momento e, dalla quale, le mie convinzioni come uomo e soldato sono uscite profondamente rafforzate. Da questo deriva la mia personale gratitudine a tutti coloro i quali stanno combattendo questa malattia senza risparmio di energie. Quanto a me, ho fin qui avuto una fortuna: non tanto quella di essermi presto ripreso dalla malattia, quanto il fatto che nessuno tra familiari e collaboratori si è a sua volta contagiato. È una consolazione, lo so, ma per me vale molto».
Gli italiani dal suo osservatorio: disciplina e pazienza? E adesso, il tempo sta per finire e si rischia la tenuta sociale?
«Questo virus ci ha costretto a modificare le nostre abitudini, allontanato dalla nostra quotidianità e talvolta, anche fisicamente dai nostri affetti. Sin dalle prime ore dell’emergenza è emerso un profondo senso di responsabilità da parte dell’intero Paese che ha saputo cogliere la portata di un momento complesso e senza precedenti. Anche per gli sviluppi futuri ripongo la mia fiducia nel popolo italiano e nella sua capacità di affrontare, con la stessa risolutezza e coesione, le prossime fasi della lotta contro il virus e le ricadute economiche e sociali».
Che cosa ha significato la vostra presenza negli ospedali, per la sanità civile?
«I primi assetti sanitari si sono schierati sin da fine febbraio in Lombardia e, progressivamente, sull’intero territorio nazionale. Oggi circa 250 tra medici e infermieri operano nell’ambito di strutture sanitarie civili, organizzati in team costituiti prevalentemente da personale con specializzazioni ed esperienza in aree emergenziali. Abbiamo schierato e stiamo gestendo due ospedali da campo a Piacenza e a Crema, reso disponibile il centro ospedaliero di Milano-Baggio mentre il Celio ha prontamente realizzato un’area Covid dove sono curati sia militari sia normali cittadini, in stretta collaborazione con lo Spallanzani. Tutti questi provvedimenti si innestano nell’ampia e consolidata collaborazione tra sanità civile e militare nell’area della diagnostica e del ricovero, che potrà essere ulteriormente rafforzata con l’auspicabile piena integrazione del Celio nel Servizio sanitario nazionale».
Quando siete entrati in azione nelle Rsa? Quale situazione avete trovato?
«L’Esercito sta effettuando la disinfezione-sanificazione di ospedali, cliniche, case di riposo ma anche di edifici pubblici con i propri specialisti e con ulteriori 71 squadre rese disponibili su tutto il territorio nazionale. Abbiamo condotto 61 attività nelle Rsa, 17 interventi che hanno riguardato Prefetture, centri della Protezione civile, municipi e istituti di pena, e 41 attività di sanificazione di stazioni dei carabinieri. La collaborazione con il personale delle Rsa è massima e sono numerosissimi gli attestati di stima e gratitudine nei confronti dei nostri operatori».
Ha fatto riferimento agli ospedali da campo a Crema e Piacenza. Prima di questa pandemia, in quale altra emergenza interna ed esterna li avete allestiti?
«Allestire due ospedali da campo in tempi brevissimi è stato possibile solo grazie all’addestramento, al sacrificio e alla determinazione. Dal terremoto di Messina del 1908 all’odierna gestione di un ospedale militare in Libia, passando per i terremoti in Friuli, Irpinia e gli interventi in Libano, Somalia e nei Balcani, i medici dell’Esercito e i nostri assetti sono sempre stati, con questo spirito, in prima linea al servizio del Paese e della comunità internazionale».