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 2020  aprile 20 Lunedì calendario

Come si riparte secondo Brunello Cucinelli

Brunello Cucinelli è a Solomeo, nel suo borgo dove ha la sua casa e anche il cuore della sua azienda, 607,8 milioni di euro di fatturato nel 2019 . «Ripartire è una grande emozione».
Tutti di nuovo in azienda?
«Abbiano riaperto con un 25 per cento del personale, il reparto di prototipia e stile, poi c’è chi è rimasto in smart working. Al lavoro anche in Cina dove abbiamo 200 dipendenti. Stiamo preparando campionari per l’estate 2021».
Intanto però quella che rischia di saltare, in termini di vendite, è quest’estate.
«Quando ero piccolo, in campagna, la cosa che temevamo di più era la grandine perché quando arrivava distruggeva tutto. Avevo 10 anni e vedevo negli occhi della mia famiglia la disperazione. Poi mio nonno mi disse che la famiglia del vicino ci aveva prestato 20 balle di grano e capii che ne saremmo usciti. Per il biennio 2021-22, riprenderemo un’equilibrata e sostenibile crescita della nostra impresa e del mondo. Questa è una grandinata e prima di pensare a quello che abbiamo perso noi imprenditori dobbiamo pensare a garantire il cibo alle persone che lavorano con noi. Non lo abbiamo detto da subito rassicurandoli, non licenzieremo nessuno. N on voglio fare a meno delle competenze che mi hanno permesso di arrivare fino a qua. In cambio ho chiesto due cose: la disponibilità a lavorare mezz’ora in più al giorno e lavorare in agosto tranne una settimana. Questo significa che in poco tempo recupereremo le settimane perse».
Capitalismo etico?
«Il "mercante onorevole". Responsabilità. Fino a ieri abbiamo parlato di sostenibilità ambientale, ora dobbiamo parlare di sostenibilità umana. E la salute e il lavoro vengono prima».
Si discute sulla riapertura del Paese, lei cosa farebbe?
«Io credo che vadano ascoltati gli scienziati. Certo ci sono regioni come la mia che sono state meno colpite. Un po’ perché siamo stati bravi a chiudere subito, un po’ anche perché in Umbria in inverno non passa molta gente e un po’ anche per come siamo fatti, gente un po’ schiva, abituata alla distanza, e con grandi spazi verdi a disposizione. Comunque sia possiamo essere il laboratorio della ripartenza, una guida per le altre regioni. Credo che ogni governatore si debba rendere conto di quello che è possibile fare e quello che non è possibile. Occorre una mediazione».
C’è grande dibattito sulla riapertura delle scuole.
«Io le lascerei chiuse. Ormai siamo arrivati alla fine dell’anno scolastico. La scuola porta con sé un gran movimento e occorre ancora andare cauti. Ai bambini poi non puoi chiedere di indossare e maneggiare nel modo giusto le mascherine. È difficile»
Lei è considerato un ottimista.
«Io sono un ottimismo matematico, mi baso su quello che è accaduto nella storia. E mi baso sull’esperienza. Per questo quando ho visto quello che stava accadendo in Lombardia ho subito reagito, chiudendo il 30 gennaio l’azienda senza aspettare che me lo imponessero. E poi iniziando da subito a cercare in tutto il mondo mascherine e respiratori per poi distribuirli agli ospedali, a partire da quelli della mia regione». 
La moda è stata molto colpita anche nelle sue vetrine, le grandi fiere come Pitti, ad esempio, rimandata al 2 settembre.
«Fare Pitti il 2 settembre non serve e niente, io lo ho detto chiaramente e noi non ci saremo. Ma il comparto ripartirà, la moda ritroverà il suo equilibrio. E correggerà alcune esagerazioni come per esempio quella di far trovare i cappotti in vetrina nei negozi a fine giugno». 
Insomma un dramma planetario, ma anche un’occasione?
«Le parole "opportunità" e "occasione" in questa situazione sono fuori luogo. Dico solo che così va il mondo e ci sarà un riequilibrio, in tutti i campi. Quanta roba buttavamo prima via dal frigo? In questi giorni nessuno butta nulla. Riflettiamo di più su cosa comprare e anche dove è prodotto e come. E questo riguarda ovviamente anche la moda»
L’Italia soffre ancora gli strascichi della crisi del 2008, adesso il Coronavirus. Quando ne usciremo?
«Questa è una crisi congiunturale e non strutturale. Nel 2008 non sapevamo cosa fare, le banche fallivano. Oggi ci sono altre previsioni. Ci vorranno due anni per riequilibrarci, quindi la programmazione deve essere triennale, l’orizzonte a cui guardare è il 2021/2022. Nel 2008 non riuscivamo nemmeno a progettare. Oggi la grande differenza rispetto ad allora la fa il dolore per le persone che abbiano perduto. Quello che accade nelle Rsa è atroce. I nonni sono la memoria del Paese, da loro prendiamo forza ed esperienza, la sola idea che qualcuno possa pensare che siano sacrificabili mi indigna».
Come ha passato la quarantena?
«Ho fatto cose nuove. Ho aiutato mia moglie a stirare, anche il copri piumone, una cosa complicatissima! Ho cucinato, pulito i pavimenti. Una grande prova per le famiglie».
E nello stesso tempo è stato al telefono con gli investitori nel road show?
«Certo, ho cercato di infondere coraggio a chi, per esempio, negli Usa è entrato in questa spirale dopo di noi. Ho imparato da voi donne a essere multitasking. È stato comunque un periodo sabatico. Puskin nel 1830, bloccato nella sua casa di Boldino in quarantena per un epidemia di colera, scrisse le sue opere più belle».