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 2020  aprile 20 Lunedì calendario

Come faremo la spesa dopo il coronavirus

L’elettrochoc del coronavirus si prepara a ridisegnare da zero la mappa del commercio in Italia. Le saracinesche abbassate dei negozi, le grandi insegne di elettronica e dell’abbigliamento ferme, le code fuori dai supermercati e il crollo dei consumi del 31,7% a marzo lasceranno un segno indelebile sulla distribuzione.
"Quanto torneremo a una situazione di pseudonormalità nulla sarà come prima”, è certo Marco Pedroni, presidente di Coop Italia. La crisi di liquidità – dice Confimprese – strozzerà le catene commerciali non alimentari, “una su tre rischia di non riaprire”. Distanziamento e nuove regole d’ingaggio sociale cambieranno a lungo il nostro modo di fare la spesa dentro i punti vendita “con gli ipermercati e i grandi mall fuori città – vissuti come cattedrali dell’affollamento – destinati a pagare il prezzo più salato”, dice Romolo de Camillis, direttore del settore retail della Nielsen. Consegne a domicilio e vendite online, esplose in queste settimane, obbligheranno tutti a rivedere il proprio modello di business regalando una possibile second life ai negozi di vicinato che parevano in via d’estinzione. 

I business da reinventare
Nel breve termine, tanto per complicare le cose, sarà necessario fare i conti con una pesante recessione: “I primi segnali si vedono già – dice Francesco Avanzini, direttore generale di Conad – Dopo il boom di vendite di marzo nei supermercati ora c’è molta prudenza e gli scontrini hanno iniziato a scendere. Il timore è quello di un crollo della capacità di spesa”. Conseguenza quasi inevitabile delle macerie economiche e sociali della pandemia.
"Nessuno al momento ha la sfera di cristallo per vedere il futuro – ammette Pedroni – La crisi sarà breve se l’Italia varerà un new deal e l’Europa farà la sua parte con intelligenza”. Di sicuro però i piccoli negozianti, le vetrine della moda e i grandi manager della distribuzione avranno davanti la sfida difficile di rimettere in piedi e reinventare il loro business. Per chi vende alimentari o per Amazon, rimasti aperti e seduti su una cassa dove ha continuato ad arrivare denaro fresco, sarà più facile. Per chi in questi mesi ha dovuto chiudere i battenti la strada è molto più in salita.
Le grandi catene come Oviesse, Zara, Rinascente e Ikea – pur gente con le spalle larghe – hanno dovuto mettere in cassa integrazione decine di migliaia di dipendenti pagando costi altissimi per i magazzini fermi. “Molti gruppi stanno vivendo in questi giorni problemi di cassa – dice il presidente di Federdistribuzione Claudio Gradara – Quasi tutti, per dire, hanno speso centinaia di milioni per comprare collezioni di abbigliamento primaverile che non riusciranno mai a vendere”. Stesso discorso vale per i negozi di vicinato non alimentari. “Per loro le spese di affitto e le utenze hanno continuato a correre a incassi zero – dice Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti – Molti non riusciranno a ripartire e servono interventi per aiutarli a pagare almeno le spese vive sui muri, magari garantendo la cedolare secca ai locatari”. Le chiusure, insomma, rischiano di essere molte. Mentre i sopravvissuti dovranno fare tesoro delle lezioni imparate in queste settimane “con cambiamenti di comportamenti e di consumi che rimarranno a lungo con noi”, dice Pedroni. Obiettivo: non perdere il treno della ripresa. Cercando di trasformare i problemi dell’emergenza in opportunità.
La prima grande lezione della pandemia è l’importanza delle vendite online e dei pagamenti virtuali. “La domanda di ordini dal web è esplosa e spesso è stata di dieci volte superiore alle potenzialità dell’offerta”, dice Avanzini di Conad. I non-nativi digitali, dai cinquantenni fino ai bisnonni, sono stati costretti a reinventarsi leoni da tastiera per riuscire da farsi consegnare i beni di prima necessità a casa. “E molti di loro non torneranno più indietro” è convinto de Camillis. Risultato: “La quota delle vendite dal web del settore della grande distribuzione potrebbe raddoppiare dal 2 al 4% – conclude Avanzini – Sembra poco ma vuole dire 5 miliardi in più”. Conad, come molti dei big del settore, sta studiando già la creazione dei cosiddetti “dark store”, in sostanza magazzini e piattaforme logistiche chiusi al pubblico che gestiscono tutto il flusso delle vendite online, lasciando i punti vendita liberi di occuparsi solo del rapporto diretto con i clienti.
Un’altra delle metamorfosi destinate a rimanere è la rivoluzione delle consegne a domicilio. Vale per tutti, dalle case di moda alle catene elettroniche, dai negozietti sotto casa ai big dell’alimentare. Indipendentemente dallo strumento dell’ordine, il telefono, il pc o altro anche questa novità darà uno scrollone al settore. “Ci sarà una naturale tendenza verso i negozi di prossimità di dimensioni più ridotte da 300 a 2 mila metri di superficie”, dice Pedroni di Coop. “Nel new normal della distribuzione è meglio muovere le merci che le persone”, conferma Avanzini. Un processo già deciso prima dell’epidemia con colossi come Ikea, pronti a rivedere le loro politiche commerciali puntando sull’online ma anche tradendo i colossali centri commerciali in periferia a favore di sedi più piccole e specializzate in specifiche categorie di prodotti, più vicine ai consumatori.
La pandemia cambierà anche l’architettura degli interni del commercio, minimizzando i punti di assembramento e le code. “Nell’alimentare significa che si venderà più prodotto confezionato e meno al banco”, è sicuro Pedroni. Mentre in ogni segmento di mercato il bisogno quasi psicologico di rassicurazione orienterà i consumi verso i prodotti di marca penalizzando i no-logo e i trend figli della moda del momento.
Tra i sopravvissuti ci sarà comunque una categoria a sorpresa: i negozi di vicinato. Panettieri, macellai, fruttivendoli e latterie, una specie in via d’estinzione ma tornata in queste settimane a recitare un ruolo di primo piano nella nostra quotidianità. Il loro giro d’affari è cresciuto anche del 40%. “Sono negozi che hanno una relazione umana con il cliente – dice De Luise – hanno garantito consegne a domicilio ad anziani e persone più deboli e hanno capito in questa emergenza che valorizzando questi servizi e reinventandosi una vetrina online hanno molte più possibilità di sopravvivenza”. 

L’impatto delle riaperture
"Noi ci siamo inventati da zero la vendite online dei formaggi per tappare i buchi degli ordini di ristoranti e bar – conferma Enrico Carretta dal Centro della mozzarella, un caseificio artigianale a Milano – ed è stato un successo oltre ogni aspettativa”. Resisterà questo trend dopo la riapertura dei ristoranti? “Secondo me sì – dice De Luise – Oltre alla comodità, la gente ha riscoperto la qualità di questi negozi”. “Un po’ di questo terreno riconquistato rimarrà in mano ai commercianti sotto casa specie quelli in aree urbane con popolazione un po’ più in là con gli anni – conferma de Camillis di Nielsen – A un patto: che non esagerino sui prezzi”. Altrimenti i consumi rischiano di spostarsi verso i discount, segmento di mercato che ha pagato un po’ dazio nell’emergenza ma destinato a risorgere quando gli italiani si risveglieranno con meno soldi in tasca. Dovunque vada il Pil, l’asso pigliatutto resterà Amazon. La prova? La società di Jeff Bezos ha toccato la scorsa settimana i suoi massimi a Wall Street e in meno di un mese ha annunciato – nel pieno della tempesta – ben 175mila nuove assunzioni.