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 2020  aprile 19 Domenica calendario

L’artista che scolpisce virus e batteri in vetro

Due milioni di volte più grande. Questo il coronavirus in vetro trasparente (perché l’artista è daltonico e quindi non distingue i colori) che appena otto settimane prima dello scoppio ufficiale della pandemia l’inglese Luke Jerram (1974) ha creato per la Duke University School of Engineering di Durham (South Carolina, Stati Uniti). «Doveva essere un modo simbolico per riflettere sullo stato della ricerca attuale e futura – spiega a “la Lettura” – e invece è diventato un omaggio globale all’enorme sforzo di scienziati, medici e operatori che si stanno battendo contro il Covid-19». Un omaggio non certo casuale perché già dal 2004 Jerram sta lavorando a quella sua Glass Microbiology che di fatto si è trasformata in un manuale alternativo 3D di microbiologia: gioielli di vetro «scaturiti – per Jerram – dalla tensione tra la bellezza delle forme e la pericolosità di quello che possono provocare», ormai utilizzati anche dalla comunità scientifica per libri e conferenze e più in generale («Non me l’aspettavo, certo»). 
Non solo virus però. Anche perché la microbiologia (non solo quella riletta dall’artista inglese) è definita di fatto «una branca della biologia che studia la struttura e le funzioni dei microrganismi, cioè di tutti quegli organismi viventi unicellulari, pluricellulari o acellulari, non visibili a occhio nudo, con dimensioni inferiori al millimetro, la cui osservazione richiede l’uso del microscopio ottico». Dunque non solo virus ma anche batteri, funghi, lieviti, alghe, protozoi e molto altro. Tutti immaginati e rappresentati da Jerram senza tanta voglia di spettacolarizzazione, a cominciare dalla scelta del vetro trasparente come materiale base: «Ho tolto ogni colore, forse perché sono daltonico, ma anche perché siamo ormai costretti a vedere la microbiologia come una sequenza di immagini coloratissime create al computer, qualcosa che assomiglia ai cartoon». Una scelta, quella della trasparenza, motivata anche scientificamente: «I virus non hanno colore in quanto sono più piccoli della lunghezza d’onda della luce». 
Come tanti altri artisti contemporanei affascinati dalla scienza (Jen Stark, Susan Aldworth, James Turrell, Janet Saad-Cook, Fabian Oefner, Andy Goldsworthy, Rachel Sussman, Michael Najjar, Trevor Paglen ma anche il Damien Hirst di Pharmacy, Birth  e Hymn), Luke Jerram – che lavora da vent’anni con un team di quaranta persone – non rivendica alcuna patente accademica: «Non sono uno scienziato in quanto non eseguo ricerche scientifiche o esperimenti scientifici. Sono un artista interessato alla scienza e alla comunicazione scientifica. Ho studiato fisica e matematica a scuola e ho avuto una borsa di studio all’università per studiare ingegneria, ma poi ho optato per una laurea in arte. Ma al pari di scienziati e ingegneri, anche gli artisti possono, o forse devono, essere interessati a come funziona il mondo». E il mondo di Luke è quello dei microrganismi.

Anche Jerram (al pari di Galileo, Leopardi, van Gogh e Delvaux) è rimasto conquistato dalla Luna.  Museum of the Moon era infatti il titolo della sua installazione itinerante approdata lo scorso anno anche in Italia (a Milano, a Bari, a Cagliari): una suggestiva Luna di otto metri di diametro realizzata grazie ad alcune cartografie fornite dalla Nasa che gli hanno permesso di riprodurre fedelmente la superficie del satellite terrestre, in una scala 1 : 500.000: «Nel corso della storia – dice Jerram – la Luna ha ispirato artisti, poeti, scienziati, scrittori e musicisti di tutto il mondo. Diverse culture affondano le proprie radici nei rapporti storici, scientifici e religiosi con la Luna; il Museum of the Moon ci permette di osservare e contemplare somiglianze e differenze in tutto il mondo. A seconda del luogo dove l’opera è presentata – cattedrali, depositi, piazze pubbliche, musei di arte o di scienze naturali – il suo significato e la sua interpretazione hanno cambiato senso». 
Stesso concetto, quello dell’interazione, che Jerram ha sviluppato con Play Me, I’m Yours, progetto nato nel 2008 a Birmingham che ha coinvolto 800 street piano (pianoforti da strada, coloratissimi, in perfetto stile Pop), 36 città e oltre due milioni di persone in tutto il mondo. O con Just Sometimes, mille ombrelli sospesi sull’acqua nel centro di Rotterdam, opera del 2012. «L’idea dei pianoforti – dice Jerram – mi è venuta dalla frequentazione delle lavanderie a gettone dove mi sono reso conto che la gente non comunicava mai, pur vedendosi spesso, e che in una città, e ancora di più in una metropoli, si creano microcomunità dove la gente trascorre ore insieme in silenzio senza mai conoscersi».
C’è, per Jerram, un posto dove gli artisti possono aiutare gli scienziati a comunicare il loro lavoro? «Certo. Io stesso sono spesso impiegato da scienziati e ricercatori! È quando gli scienziati creano arte, o gli artisti vogliono fare gli scienziati, che le cose vanno male!».
Realizzati attraverso un processo scientifico di soffiatura del vetro, lo stesso processo utilizzato per i vetri da laboratorio (provette, cilindri graduati, essiccatori, pipette, valvole, tubi...), i virus e i batteri della Glass Microbiology di Jerram vengono costantemente aggiornati in base alle ricerche: «Per quello sul Sars-CoV-2, ad esempio, abbiamo guardato agli ultimi diagrammi del virus». Tutti i soldi ricavati da questo modello sono stati destinati da Jerram a Medici Senza Frontiere. 
La pandemia ha cambiato il suo modo di fare arte? «Tutto il mio lavoro di artista è stato cancellato. Ora sono diventato piuttosto un insegnante di scuola, passo la giornata a casa occupandomi dell’educazione dei miei figli! Ma continuo a rimanere affascinato dalla contraddizione di questi microrganismi, belli come gioielli, pericolosissimi per la nostra salute». Perché le sculture di Luke Jerram nascondono spesso storie di dolore: «Caro Luke, mi aveva scritto un ragazzo qualche anno fa, ho appena visto una foto della tua scultura dell’Hiv. Non riesco a smettere di guardarla, sapendo che milioni di questi virus sono in me e che faranno parte di me per il resto della mia vita. La tua scultura ha reso l’Hiv molto più reale per me di qualsiasi foto o illustrazione che abbia mai visto. È strano vedere il mio nemico e la probabile causa della mia morte e trovarlo così bello. Grazie».