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 2020  aprile 19 Domenica calendario

Il Monza non può essere annullato dal corona-Var

La metafora del momento sportivo in cui ci troviamo è questa: come l’attesa del Var. C’è stata un’azione lunga mesi, ha prodotto un risultato per cui qualcuno ha esultato, qualcun altro sofferto. Poi però è successo qualcosa di imprevisto. Tutto si è fermato. Il tempo ha continuato a trascorrere nel silenzio. Non si sa bene quando l’azione riprenderà né che cosa resterà dell’accaduto. Avrà avuto valore? O sarà tutto cancellato? Sarà stata una gioia vana? Un dolore anestetizzato? Nella sala delle decisioni, ormai è evidente, non si confrontano ragioni, ma soltanto interessi personali. Si sostiene quel che conviene alla propria parte. O quel che rafforza il proprio potere di presidente: di società, federazione o comitato. In attesa che qualcuno più assennato, probabilmente il destino, decida per tutti, restiamo fuori a chiederci che cosa sarebbe l’ultima cosa che vorremmo vedere annullata. Ci sono state imprese davvero straordinarie, che meriterebbero di restare. Ecco il podio.
Al terzo posto: la Premier al Liverpool. Un dominio senza precedenti. Secondo la matematica aveva in tasca la vittoria al 93%, dove il 7% include l’ipotesi che da Alisson a Salah i cigni di Klopp si trasformino in anatroccoli neri. Eppure il Liverpool può avere una seconda possibilità. Fra trent’anni. 
Al secondo posto: la rincorsa Champions dell’Atalanta. Dallo 0-4 di Zagabria al 4-3 al Valencia, si aprivano scenari da Fantacalcio. Tuttavia ha la qualificazione in tasca, per riprovarci subito.
Al primo posto è l’impresa delle imprese: la marcia del Monza di Berlusconi. A un passo dalla B, a due dalla A. L’eterno ritorno. Una fantasia personale che continua a riprodurre lo stesso desiderio, ma in scala: la squadra di calcio, il partito liberatutti, la donna bionda.
Come nella trama di troppi film, Silvio ha rimesso insieme la vecchia band: Brocchi, Paletta, Galliani. Quest’ultimo è il coefficiente di realtà: di Berlusconi incarna tutti i sogni, e qualche incubo. Sul viale del tramonto, lungo decine di chilometri, infreddolito nella tribuna del Brianteo, il presidente ha pensato: «Io sono ancora grande, è il calcio che è diventato piccolo!». Gatsby fa rivivere il passato e non si accorge che soltanto per lui si accende il raggio verde all’orizzonte. Il ricordo confonde le carezze delle fanciulle e di Pierluigi Bersani. Ma se quello è Ibra, io che ci faccio qui? E soprattutto, perché non c’è venuto lui? Ha provato a comprarlo, ma è noto che puoi togliere il ragazzo dalla banca, non la banca dal ragazzo. Un concetto che a Berlusconi è chiaro e caro. Come lo sono i ragazzi venuti dal Brianteo: giovani, italiani, senza barba né tatuaggi. Una specie che ha cercato di produrre e riprodurre, ma che si è sempre ribellata al creatore. C’è un fascino ipnotico nel sogno ricorrente, che passa di letto in letto, fino a quello di Procuste, in cui non entra più, bisogna adattarlo, pur di continuare a sognarlo. La premiata ditta ha sempre avuto un’idea precisa su quando interrompere le partite. E c’è stato un tempo in cui avrebbe potuto risolvere lo stallo con una legge, che i soliti infelici avrebbero stigmatizzato ad personam. Ora invece tocca aspettare. Come tutti. Ma il Monza di Berlusconi in Serie A è un finale per cui vale la pena.