la Repubblica, 19 aprile 2020
Il problema dei timbri in Giappone
Finalmente in Giappone è arrivato il weekend. Le metro e le strade del Paese si sono svuotate, i centri commerciali e i quartieri dell’intrattenimento sono semideserti: quasi tutti i cittadini restano diligenti a casa, come il governo ha chiesto loro di fare per bloccare il virus. Ma il problema del Giappone in stato di emergenza “leggero”, cioè senza obblighi di legge né punizioni per i trasgressori, non sono i giorni festivi, bensì quelli feriali: dal lunedì al venerdì i cittadini a casa non ci stanno proprio, continuano ad andare in ufficio. Un po’ perché questa è la loro cultura, che premia più di ogni altra cosa la presenza in ufficio, a oltranza, allo sfinimento, alla morte. Un po’ perché le aziende nipponiche, anche quelle dei servizi piene di colletti bianchi, non sono attrezzate per farli lavorare a distanza.Uovo e gallina di un problema che rischia di precipitare il Sol Levante nel baratro della crisi epidemica. I casi di Covid-19 infatti continuano ad aumentare, hanno superato i 10 mila, gli ospedali cominciano a non avere più letti liberi. Allargando lo stato di emergenza a tutto il territorio nazionale, il premier Shinzo Abe ha detto che per uscirne i contatti sociali dovranno essere ridotti dell’80%. Peccato che i pendolari che prendono auto o mezzi pubblici per recarsi con regolarità in ufficio, secondo un attendibile sondaggio, la scorsa settimana fossero ancora il 60%, mentre un misero 28% faticava da casa.
Molti non vogliono, perché temono di essere penalizzati dal capo, in Giappone non è ben visto neppure chi si prende le ferie per intero. Molti non possono, per una serie di motivi legati alla cultura del lavoro, che a dispetto dell’immagine di Paese iper tecnologico è ancora analogica e cartacea. Il suo simbolo sono i timbri, gli hanko, che devono essere apposti su ogni documento ufficiale. Ci sono quelli societari, conservati nelle casseforti dell’azienda, e quelli personali, che ogni lavoratore legato a quel documento deve imprimere sulla pagina, prima che questa venga archiviata o faxata via. La stessa architettura “a stanzone” degli uffici nipponici si basa sul presupposto che i dipendenti siano tutti presenti insieme e molti regolamenti societari prevedono che le riunioni si debbano svolgere faccia a faccia.
In vista delle Olimpiadi, per ridurre la congestione di Tokyo, il governo aveva promesso una grande rivoluzione di lavoro agile. L’emergenza coronavirus ha rivelato che le aziende non sono pronte, nella capitale e a maggior ragione nel resto del Paese. Del resto la stessa burocrazia imperiale è parte del problema: per richiedere gli incentivi per lo smart working un’impresa deve compilare circa cento pagine di moduli. Il problema però è che senza misure di contenimento l’anziano Giappone rischia 400 mila morti.