Corriere della Sera, 19 aprile 2020
I governi e l’uso politico dei fatti
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale alcuni studiosi che avevano spesso appartenuto a campi opposti decisero di organizzare convegni bilaterali durante i quali avrebbero cercato di ricostruire gli eventi degli ultimi decenni sulla base dei documenti d’archivio, ormai consultabili, dei loro rispettivi Paesi. Dopo qualche incontro tedesco-polacco e franco-tedesco, uno storico francese, Jean Baptiste Duroselle, e uno storico italiano, Enrico Serra, organizzarono con la partecipazione di altri studiosi parecchi colloqui sulle relazioni tra Francia e Italia dalla fine della Prima guerra mondiale alla fine della Seconda.
Ricordo il clima delle conversazioni. Le «squadre» cedevano ogni tanto a tentazioni patriottiche, ma facevano quasi sempre un lavoro obiettivo e utile che ha prodotto una decina di libri, di cui alcuni pubblicati da un editore milanese (Franco Angeli).
Oggi il clima è cambiato. La Storia è finita nelle mani di governi che ne fanno un uso sfacciatamente politico-elettorale. Vogliono quella versione degli eventi in cui il loro Paese è sempre vittima mentre il cattivo è sempre quello con cui hanno i peggiori rapporti. In Polonia nelle elezioni del 2015 il partito Diritto e Giustizia dei fratelli Kaczynski (PSI) ha annunciato la «lustrazia», una epurazione che avrebbe sottoposto politici, pubblici ufficiali e giornalisti a una sorta di radiografia per individuare qualsiasi traccia dl filocomunismo. Più recentemente in Russia, durante il dibattito per la riforma della costituzione, qualcuno ha proposto una clausola che darebbe allo Stato il diritto e il dovere di tutelare la «verità storica».
Esiste quindi una storia «corretta» che sta diventando più importante di ciò che è realmente accaduto. Da un articolo di Alexei Miller, pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung e ripreso dal sito di Mosca della Carnegie Foundation, apprendo che alla recente commemorazione della liberazione di Auschwitz nel 1945, grazie alla forze sovietiche, hanno partecipato tre presidenti europei: della Commissione, del Consiglio e del Parlamento di Strasburgo. La formula per ricordare quell’evento sarebbe stata: «75 anni fa, Forze Alleate hanno liberato Auschwitz-Birkenau mettendo fine al più abominevole crimine della storia europea, il programmato annientamento degli ebrei d’Europa».
«In questa dichiarazione – scrive Miller – l’identità nazionale delle truppe liberatrici non è stata menzionata e chi lo ha fatto ha detto che i liberatori erano le truppe del Primo Fronte Ucraino, quasi lasciando intendere in questo modo che i liberatori erano ucraini. Ma l’indicazione geografica, nella terminologia dell’Amata Rossa, concerneva l’obiettivo strategico di una operazione militare, non l’identità nazionale dei combattenti».
Forse è giunto il momento in cui gli storici dovrebbero accordarsi per inviare ai loro governi un messaggio comune: «Restituiteci la Storia per favore».