La Stampa, 19 aprile 2020
Ritratto di Martin Amis
Soltanto nell’arte il leone giace insieme all’agnello e la rosa cresce senza spine». Così mi disse Martin Amis: senza emozione, come fosse qualcosa di assodato, su cui è inutile discutere. Ma poi, inaspettatamente, lasciò trasparire un velo di malinconia per quella conclusione amara. La sua riflessione sulla violenza e il dolore va di pari passo con quella sulla religione, rispetto alla quale si definisce agnostico: «È l’unica posizione rispettabile, perché la nostra ignoranza è cosi vasta che l’ateismo è prematuro». Nella scelta dell’aggettivo «prematuro» c’è tutto il suo sguardo sull’esistenza, insieme all’intima ribellione nei confronti di ogni conclusione pessimistica che proprio lui ha ripetutamente proposto.
A proposito dell’eventuale esistenza di Dio una volta affermò che «non esiste alcun tipo di entità antropomorfa», aggiungendo che «l’universo è così complicato, sopra le nostre teste, che non possiamo escludere che dietro di esso ci sia un’intelligenza».
Sia nei suoi libri, che nelle dichiarazioni pubbliche, Amis ha messo continuamente in discussione le proprie convinzioni, ricercando una verità che non è mai definitiva: non ha mai avuto paura delle polemiche ed esprime con chiarezza, a volte brutale, le proprie idee, specie se controcorrente. È un atteggiamento che nasce dal disprezzo di ogni ipocrisia formale: è stato un antesignano della lotta al politicamente corretto, e lo ha pagato in termini di rapporti sociali e di riconoscimenti letterari. È sintomatico quanto avvenne in occasione di London Fields, quando le due giurate donne votarono per escluderlo dal Booker Price: contestavano il modo in cui erano trattati i personaggi femminili, giungendo a chiedergli di dichiarare che il suo atteggiamento nei confronti delle donne non era quello del protagonista del libro. La sua reazione sconcertata gli procurò la reputazione di personaggio scomodo e pericoloso: fama che venne sigillata con Koba il terribile, nel quale denunciava, oltre ai crimini di Stalin, l’atteggiamento di simpatia nei confronti di quell’ideologia da parte di Jean Paul Sartre, Bertold Brecht, George Bernard Shaw e Theodore Dreiser.
Con quel libro, il cui sottotitolo era Una risata e venti milioni di morti, Amis attaccava frontalmente alcuni intoccabili, rivelando atteggiamenti che rimuovevano scelte condannate dalla storia. Amis chiedeva come mai un’ideologia responsabile di un numero di morti doppio rispetto al nazismo godesse tanta indulgenza, e il racconto di innumerevoli mostruosità crearono un fronte compatto di nemici, che si strapparono le vesti.
Koba il terribile è illuminante anche per decifrare il rapporto con il padre Kingsley, affrontato anche nell’autobiografico Esperienza, dove racconta che non aveva alcuna curiosità per il suo lavoro letterario. Autore del best seller Lucky Jim, Kingsley Amis ebbe nei confronti della famiglia un atteggiamento che alternava tra il dominio assoluto e il totale disinteresse. Al dialogo era sostituito lo scontro, con Martin che criticava il capitalismo selvaggio che ha generato un’era di «nuova sgradevolezza». Fu talmente violenta la reazione a Koba il terribile che Amis decise di trasferirsi a vivere in Uruguay, paese della moglie Isabel Fonseca, e quindi a Brooklyn. La descrizione degli orrori stalinisti continuò con House of Meetings, che racconta di due uomini in un Gulag che in passato hanno amato la stessa donna, e le polemiche continuarono anche per alcune dichiarazioni sul terrorismo islamico: «esiste un tipo di uomo che diventerà musulmano per poter realizzare un attentato suicida di massa». La provocazione scatenò un putiferio. Il periodo delle più aspre polemiche coincide con un momento di straordinaria creatività: nel magnifico L’Informazione, racconta l’odio che prova un narratore frustrato, autore di libri cervellotici e di nessun successo, nei confronti di un vecchio amico che è diventato un romanziere famoso scrivendo invece libri di facile consumo.
Si tratta di due archetipi che conosce alla perfezione, e rappresentano la proiezione di quello che non vorrebbe mai diventare. Amis è diretto e lucido anche nelle scelte letterarie sperimentali, come nella Freccia del tempo, ambientato ad Auschwitz e raccontato dalla fine, in modo da comunicare nelle ultime pagine un sentimento sereno che risulta ancora più struggente. Ed è semplice e chiaro nel modo in cui esprime i propri gusti: in un incontro sul cinema che ama, spiegò in maniera memorabile la grandezza registica di Sam Peckinpah nel finale del Mucchio Selvaggio. Raccontò poi l’esperienza come attore da adolescente, e quindi quella a Hollywood, dove venne chiamato a sceneggiare un film con Farrah Fawcett, con l’unica indicazione che lei si vedesse nuda.
Non andò meglio la volta successiva, quando fu scritturato per Mars Attacks! «Ricordo le riunioni con i dirigenti della Major, vestiti come finanzieri di Wall Street, che parlavano con assoluta serietà di una storia basata sui disegni che avvolgevano le chewing gum».
La scelta di semplicità nasce da una cultura profonda ed eclettica che lo ha nutrito sin da piccolo: tra i suoi riferimenti letterari ci sono Vladimir Nabokov, Jane Austen e Saul Bellow, del quale è stato amico. Questa volontà di chiarezza è evidente anche nei nomi dei suoi anti-eroi mediocri e pieni di fragilità: il protagonista di Money, il cui sottotitolo è Un biglietto di suicidio, si chiama John Self, e il trio di London Fields è composto da Keith Talent, Nicola Six e Guy Clinch. «Lo stile non è mai neutro, ma dà direzioni morali», dichiarò in quella occasione, e quando parla di Money, con il quale criticò duramente l’era Thatcher, spiega che «al denaro non importa se diciamo che è malvagio, perché va dal potere al potere. È una finzione, una dipendenza e una tacita cospirazione».
Continua a coltivare una sincera amicizia con autori che stima come Ian Mac Ewan, al quale si è avvicinato specie dopo la scomparsa di Christopher Hitchens, a cui era legato da appassionate discussioni intellettuali e bevute leggendarie. Si è compromesso per sempre invece il rapporto con Julian Barnes, dopo che ha lasciato la moglie Pat Kanavaugh, sua storica agente, a favore di Andrew Wylie, il quale gli offrì compensi più vantaggiosi: anche questa scelta gli ha inimicato parte del mondo letterario. Non sono mancati i dolori, anche lancinanti: la sorella Sally che definì «una vittima della rivoluzione sessuale», morì alcolizzata; e l’adorata cugina Lucy, a cui ha dedicato L’informazione, è stata seviziata e uccisa da un serial killer.
Quando parla del proprio approccio alla letteratura teorizza che «ogni scrittore spera o ritiene con certezza che la propria vita sia in qualche modo esemplare, e che il particolare divenga esemplare». Anche di questo sorride, con quel velo di malinconia, poi spiega che «il mondo è come un essere umano, e per questo esiste un termine scientifico: entropia, cioè la tendenza letteraria al disordine».