Il Sole 24 Ore, 19 aprile 2020
Amedeo Giannini, il banchiere di tutti
In questi tempi cupi fa bene ricordare le storie di chi ha vissuto la Grande Depressione e ha contribuito a superarla. Una delle più belle riguarda due emigranti italiani che hanno fatto grande l’America e hanno contribuito come pochi a consolidare il mito della capacità dell’americano medio di superare i momenti più difficili.
Il primo è Amedeo Giannini, nato in California nel 1870 da immigrati liguri, che guidò una delle più straordinarie esperienze della storia bancaria mondiale. Fondò una banca che sarebbe poi diventata la Bank of America con lo scopo principale di fornire credito alle persone come i suoi genitori: gente con una profonda etica del lavoro e che lottava disperatamente per partecipare al grande sogno americano. Non chiedeva tassi esosi di interesse e neppure garanzie ma guardava soprattutto alle qualità morali e imprenditoriali di chi gli chiedeva credito. E raramente sbagliava. Metteva cioè in pratica il concetto della funzione sociale del credito, sempre presente nei grandi banchieri e così facilmente dimenticata dalla finanza rampante di oggi.
Fu fra i primi a capire il potenziale della nascente industria cinematografica e scelse di finanziare opere che gli sembravano particolarmente innovative: Il Monello di Charlie Chaplin forse non sarebbe mai stato girato senza il suo sostegno.
In piena depressione fornì addirittura i capitali per la costruzione del Golden Gate e pretese, anziché interessi, che venisse dato lavoro ai disoccupati della zona. Finanziò anche Biancaneve e i sette nani di Walt Disney, con cui nessun produttore voleva rischiare. Anche Giannini era scettico («chi vuole andare a vedere una storia di nani?» si chiedeva) ma alla fine si convinse vedendo la determinazione del giovane Walt.
In quegli anni, la vita di Giannini si intreccia con quella di un giovane cineasta, Frank Capra. Nato in un sobborgo di Palermo nel 1897 e subito emigrato con la famiglia, il giovane Frank inizia la sua avventura nella mecca del cinema sgobbando duro e adattandosi a fare tutti i mestieri, fino ad arrivare al successo commerciale di Accadde una notte nel 1934. Negli anni successivi doveva firmare, grazie anche ai capitali di Giannini, i capolavori che ancora oggi sono un documento straordinario sulla Grande Depressione vista attraverso l’americano medio: un giovane, intraprendente, di gusti semplici ma determinato, perché non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e sa lottare contro le difficoltà e le prevaricazioni dei potenti. Il primo film di questo stampo è Mr. Deeds goes to town (bislaccamente tradotto in italiano È arrivata la felicità) che racconta di un semplice abitante di provincia (Gary Cooper) che eredita 20 milioni di dollari (l’equivalente di un terzo di miliardo oggi) si stabilisce in città (di qui il titolo) evita accuratamente tutte le immancabili trappole e alla fine decide di usare la sua fortuna per dare lavoro ai tanti disoccupati di quegli anni e offrire loro un’opportunità. Sulla base di questo cliché Capra gira altri quattro film tra il 1936 e il 1941, fra cui Arriva John Doe e Mr. Smith va a Washington (con James Stewart) premiati complessivamente da trentuno nomination e sei premi Oscar.
Le storie di Giannini e Capra erano troppo simili perché fra i due non nascesse anche una bella amicizia. Addirittura, subito dopo la guerra il regista ispirandosi proprio a Giannini firmò il suo capolavoro La vita è meravigliosa in cui contrapponeva George Bailey, un giovane banchiere di provincia (ancora uno splendido James Stewart) che faceva credito solo pensando al benessere delle persone comuni anche umili, convinto – come dice – che questo li renda «migliori clienti e migliori cittadini». E poiché sapeva come va il mondo, gli contrappose il banchiere Potter, avido e spietato, che ovviamente nel film viene sconfitto.
A chi crede che quel film sia solo una fiaba zuccherosa, va ricordato che il banchiere “buono” non è un parto di fantasia, ma la trasposizione scenica della filosofia di Giannini, interpretata da un grande artista. La bella biografia di Francesca Valente dedicata a questo personaggio straordinario ha come sottotitolo Il banchiere di tutti: una sintesi perfetta del progetto che si diede fin dai primi passi, quando fondò una banca piccina ma con un nome che era già un programma: Bank of Italy. L’obiettivo era finanziare quelli come suo padre, che avevano lavorato con la feroce ostinazione di cui sono capaci gli emigrati ed era tragicamente finito per essere ucciso da un bracciante in una lite per un misero dollaro. Fin dai primi passi il suo motto fu: «Un banchiere degno di questo nome non deve negare il credito a nessuno. Purche? onesto». Egli aveva sperimentato sulla sua pelle quanto fosse difficile che le banche tradizionali fossero diffidenti, come tutto il potere tradizionale, nei confronti degli ultimi arrivati, ricchi solo della gran voglia di sottrarsi alla miseria del loro paese d’origine. Non a caso nel film di Capra uno dei primi cittadini che entrano in possesso di una nuova casa grazie al mutuo di Bailey è Martini, un immigrato italiano. La banca della fantasia cinematografica descriveva quello che Giannini faceva da oltre quarant’anni.
Il problema è che quel modello di banca sembra dai più considerato come fatalmente superato dai tempi, come le Ford T che appaiono nel film, e dunque al massimo come una curiosità storica. Niente di più sbagliato: se non capiremo che accanto alla grande finanza moderna occorre mantenere un tessuto di banche locali prossime alle esigenze delle realtà locali e che tengono vivo quegli insegnamenti, dovremo ammettere che nella realtà ha vinto il banchiere Potter del film.