Il Sole 24 Ore, 19 aprile 2020
Borse, nel dopo Covid Usa batte Europa
Vedere due colossi tech come Amazon e Netflix tornare nei giorni scorsi sui massimi storici in Borsa dà un certo senso di serenità. Perché significa che, anche nel mondo ibernato del coronavirus, le Borse iniziano a vedere la luce in fondo al tunnel. Almeno loro. Purtroppo la scorgono in maniera asimmetrica non solo tra i diversi settori, ma anche tra i diversi Paesi: gli investitori stanno infatti iniziando a dividere il mondo (e le Borse) tra chi uscirà bene e velocemente dalla crisi e chi invece farà fatica. O, più precisamente, tra chi ha spazio nel bilancio statale e forza nella banca centrale per sostenere la ripartenza dell’economia, e chi ne ha meno. Le Borse, che guardano ormai al dopo-epidemia, questo stanno – a torto o ragione – anticipando: che la crisi indebolirà i deboli e rafforzerà (o indebolirà meno) i forti.
Così se la Borsa Usa ha recuperato già il 55,5% di quanto perso a inizio marzo tornando sui livelli di agosto 2019 e il Nasdaq addirittura il 67,5% (nonostante la profonda crisi economica negli Usa), l’Europa è rimasta indietro. E, guardando al solo Vecchio continente, la Borsa tedesca ha recuperato il 41,2% di quanto perso, quella francese il 31,8%, mentre quelle di Italia e Spagna solo il 19,1% e il 17,9%. «Il mercato sta iniziando a suddividere le Borse in base alla qualità della ripresa futura», osserva Francesco Castelli, Responsabile Fixed Income di Banor Capital che ha scritto una nota su questo tema. E la qualità della ripresa futura è direttamente proporzionale alla capacità di ogni Stato di garantirla: «Se nella prima fase della ripresa le Borse guardavano all’evoluzione della pandemia, e dunque premiavano l’Europa perché sembrava quella più avanti nella curva dei contagi, ora gli investitori premiano invece chi ha più munizioni nel bilancio pubblico».
Lo spread della ripresa
Questo è il punto vero. Gli investitori sanno che la qualità della ripresa post Covid 19 dipenderà da una cosa principalmente: da quanto Stati e banche centrali sono in grado e disposti a fare per sostenere le imprese e le famiglie durante e dopo la pandemia. «Alcune aree o Paesi potranno offrire un sostegno più forte alle loro economie, mentre altri potranno permettersi piani molto più ridotti. Il lockdown provocherà ovunque la recessione ma il recupero sarà diverso a seconda dei Paesi», osserva Castelli.
Così gli Stati Uniti, dove la Fed ha varato innumerevoli misure anche con risorse illimitate e il Governo ha stanziato più di 2mila miliardi di dollari per l’emergenza Covid 19, stanno beneficiando maggiormente del rimbalzo delle Borse. Sebbene gli Usa abbiano un debito pubblico al 109% del Pil (destinato a salire secondo l’Fmi al 131% del Pil a fine pandemia), il mercato pensa che oltreoceano la reazione pubblica sia forte, veloce e credibile. Così gli Stati Uniti già in Borsa sono quelli che si stanno riprendendo prima e meglio. Bene inteso: non è detto che il mercato abbia ragione. Tanti ritengono che questa euforia a Wall Street sia fuori luogo, considerando che l’economia Usa sta cadendo e i profitti aziendali stanno precipitando. Ma per ora il mercato così si muove, scommettendo nell’efficacia del sostegno pubblico all’economia.
L’Europa è invece il regno dell’indecisione, dei litigi, dei bizantinismi, della lentezza e dei mezzi interventi. Così anche la granitica Germania, che sulla carta ha molto più spazio nel bilancio pubblico degli Stati Uniti per intervenire a sostegno di famiglie e imprese (con un debito pre-crisi al 59%), in Borsa si riprende meno velocemente. Per quanto più rallentato, il recupero del Dax di Francoforte resta tuttavia superiore rispetto a quello delle altre Borse del Continente. Anche perché, in base alle stime contenute nel Fiscal Monitor del Fondo monetario internazionale, Berlino ha messo in campo misure dirette pari al 4,4% del Pil: non saranno le risorse liberate da Washington (6,9% della ricchezza nazionale Usa), ma valgono in termini relativi pur sempre quasi quattro volte l’1,2% degli interventi di Roma e Madrid.
In Europa il vero problema sta in effetti nei Paesi più deboli e più indebitati: la Spagna (che post-Covid avrà un debito al 113% del Pil secondo l’Fmi) e l’Italia (che potrebbe arrivare al 155% del Pil dal 135% pre-virus). Il mercato sta penalizzando questi Paesi sui titoli di Stato, con spread che si allargano nonostante i forti interventi della Bce. Li sta penalizzando sul fronte delle emissioni di obbligazioni aziendali (si veda articolo sotto). E anche sul fronte delle Borse: sono quelle cadute di più dai massimi ai minimi (-41% Milano e -39% Madrid) e ora sono quelle che si stanno riprendendo meno. Tanto che da febbraio hanno ancora un passivo rispettivamente del 33% e del 32%.
Lo spread dei settori
Lo stesso discorso si può fare sui vari settori: il mercato distingue tra quelli che si riprenderanno meglio e peggio dalla crisi. Come dimostra l’andamento del Nasdaq (che ormai ha recuperato buona parte del terreno perso), i titoli tecnologici sono quelli che promettono meglio. Anche perché – in questa fase di lockdown – la tecnologia ha avuto un boom di utilizzo. Così, se si guardano le quotazioni in Borsa – secondo i calcoli di Ubs – i titoli tecnologici a livello mondiale viaggiano su valori che sarebbero coerenti con una crescita economica globale nel 2020 del 3%.
Le azioni del settore industriale scontano invece una discesa del Pil mondiale dello 0,8%, ma sono le uniche a inglobare nei propri prezzi una recessione. Presi nel complesso, i valori attuali dell’indice Msci World indicherebbero una crescita mondiale dell’1,1% quest’anno e del 2,4% il prossimo. È vero che a fine gennaio, prima cioè del contagio globale, gli stessi livelli raggiunti dall’indice globale proiettavano la crescita 2020 addirittura al 5,2%, mentre nel momento di maggior pressione (il 23 marzo secondo Ubs) lasciavano al contrario presagire una correzione ben più pesante del 2,7 per cento.
È però altrettanto evidente che i livelli impliciti scontati dalle Borse dopo questa parziale ripresa sono decisamente superiori alle proiezioni delle principali case di investimento e a quelle appena rilasciate dal Fmi, che teme una recessione globale senza precedenti del 3%. Troppo ottimismo in Borsa, o troppo pessimismo tra gli economisti? Non sono pochi quelli che pensano che sia la Borsa ad esagerare. Ma una risposta si potrà avere solo in futuro.