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 2020  aprile 18 Sabato calendario

Orsi & tori

Promessi Sposi, (cap 32) «... per leggi e consuetudini non interrotte, e per decreto speciale di Carlo V, le spese della peste dovevan essere a carico del fisco: in quella del 1576 avere il governatore, marchese d’Ayamonte, non solo sospese tutte le imposizioni camerali, ma data alla città una sovvenzione di quaranta mila scudi della stessa Camera (il tesoro del Governatore del Ducato di Milano, ndr)...»Anche allora l’economia andò in rovina e il governatore spagnolo si fece carico, non solo di sospendere le tasse, ma di distribuire denaro agli abitanti del Ducato di Milano.

Signor Ministro Gualtieri, Lei è politico troppo serio e preparato e autorevole per non dover smentire immediatamente quanto riportano più fonti a proposito di un suo giudizio sulle pmi che possano essere ammesse ai finanziamenti previsti dal decreto Liquidità. Queste fonti riferiscono la seguente sua frase: «Nel decreto si prevede che possano ottenere la garanzia dello Stato fino al 90%, più il 10% eventuale da Confidi, solo le aziende che non hanno macchia». Ad avvalorare questa sua frase, le stesse fonti fanno notare che in effetti nel decreto si prevede che possano ottenere finanziamenti solo le aziende che al 31 gennaio scorso non risultino neppure con la macchia che la classificazione della vigilanza bancaria europea definisce utp (unlikely to pay). Questa classificazione è la più blanda per le società che hanno avuto qualche ritardo negli adempimenti verso le banche e che per questo, traducendo la sigla, potrebbero avere inadempienze probabili, quindi difficoltà temporanee. Il problema, serio, è che quando la banca attribuisce questa etichetta alle società, poi anche se il debordo o lo sconfinamento rientra, quindi quando la società è ritornata pulita, l’etichetta non può essere tolta prima di 12 mesi.
L’aver inserito, quindi, nel Decreto che non sono ammesse tutte le società che hanno compiuto peccati veniali prima del 31 gennaio e magari nel frattempo hanno pagato quanto dovevano pagare, non solo crea una discriminante iniqua verso queste società ma condanna a sicura morte anche quelle società che sono ritornate in regola ma che ora hanno bisogno di finanziamenti.
È proprio per questo che prima l’Abi e poi molte singole e importanti banche, a cominciare da Banco Bpm, si sono sgolate a far sapere che quel vincolo messo nel decreto otterrà il risultato esattamente opposto a quello che il governo si è posto con il decreto per evitare un domino di fallimenti di pmi, che invece con l’aiuto possono stare sul mercato, e quindi un indebolimento del tessuto produttivo, oltre che una cancellazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Per questo, Signor Ministro, ItaliaOggi si è permessa di segnalarLe come pericoloso il giudizio che Le viene attribuito su queste società. Il modo più semplice per non apparire quello che Lei non è, è in primo luogo di smentire la frase che Le viene attribuita e di promuovere immediatamente in seno alla maggioranza un adeguato emendamento del testo del decreto in sede di conversione.
La categoria delle aziende utp è assolutamente da salvare, proprio a giudizio dei banchieri che hanno preso seriamente la problematica di salvare il maggior numero possibile di aziende, ben sapendo a che cosa le banche stesse andrebbero incontro con una nuova ondata dei famigerati npl (non performing loan), cioè i crediti realmente deteriorati che i debitori non riescono più a pagare.
Vogliono il Governo e il Parlamento essere meno disponibili dei banchieri a salvare le aziende?
C’è allora da domandarsi come mai i pressanti suggerimenti degli stessi rappresentanti delle banche non siano stati presi in considerazione da chi ha steso il decreto. La risposta potrebbe essere: per una non perfetta conoscenza dei meccanismi bancari; ma proprio l’insistenza delle banche in sede di stesura avrebbe dovuto rendere tutti edotti. La realtà probabilmente è un’altra e a darne spiegazione è stata la stessa Banca d’Italia.
Dopo molto tempo di sostanziale neutralità rispetto al governo, quello che rimane potenzialmente il miglior centro di ricerca e di analisi di cui disponga il Paese, Via Nazionale, finalmente ha battuto un colpo e forte, per bocca del capo del servizio di vigilanza, Paolo Angelino. Cogliendo al balzo una domanda del senatore Andrea De Bertoldi di Fratelli d’Italia in sede di audizione nella commissione d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Angelino ha detto chiaramente che gli stanziamenti fatti dal Governo per assicurare i crediti alle aziende sono assolutamente inadeguati. Pensare di poter assicurare 200 miliardi di finanziamenti dal sistema bancario alle aziende avendo stanziato un miliardo per Sace, che già di dispone di un altro miliardo, e di una cifra analoga per il Fondo di garanzie delle Pmi presso Mediocredito centrale è assolutamente utopistico. «... La leva per arrivare a far erogare 200 miliardi non può essere chiaramente quella implicita nelle cifre stanziate...».
Finalmente, dopo anni di sostanziale silenzio, la Banca d’Italia fa il suo mestiere. Del resto, nel passato i dirigenti di Bankitalia partecipavano attivamente a ogni elaborazione di provvedimenti economici. Non c’era riunione del Cipe che non vedesse la partecipazione talvolta del governatore e spesso del direttore generale. E le analisi di Bankitalia contavano. Oggi Bankitalia ha 9 mila dipendenti: una selezione di cervelli notevoli; è rimasta indietro con i modelli preferendo quelli econometrici, ma sta cercando di recuperare con la scienza del Big data e per questo anche di recente ha organizzato sessioni di studio con le migliori professionalità di cui l’Italia dispone, cioè la scuola di Torino del professor Mario Rasetti. Come ormai tutti sanno, il data science consente di predire, figuriamoci se non sia possibile fare calcoli elementari su come funziona il moltiplicatore assicurativo per generare credito.
Invece, il Governo preferisce, soprattutto per bocca del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, fare conferenze altisonanti come quella in cui è stata annunciata liquidità per ben 400 miliardi, dove 200 dovrebbero essere appunto generati dal moltiplicatore assicurativo bocciato da Banca d’Italia, e gli altri 200 da sempre esistenti per l’assicurazione del credito all’estero, cioè il mestiere tipico e professionale della Sace, che invece ora si deve occupare, assieme al Mediocredito centrale, di garantire i 200 miliardi di credito. Con quel moltiplicatore, sarà erogabile solo una frazione delle cifre altisonanti annunciate, mentre sempre il direttore della vigilanza di Bankitalia, Angelino, ha detto chiaramente che solo tra marzo e luglio le aziende italiane avranno bisogno di almeno 50 miliardi di nuova liquidità.
Che senso ha allora, è l’ovvia considerazione, snocciolare cifre roboanti in conferenze che creano legittima attesa? Ci sono tante forme di populismo, un virus da cui almeno il Pd sembrava esente.
Quindi, Signor Ministro, primo: tenere conto della realtà, cioè che le aziende che hanno più bisogno, come confermano le banche, sono quelle con qualche problema di utp ancor prima dell’inizio della guerra; secondo: si stanzino davvero i miliardi necessari a fare da moltiplicatore assicurativo per i 200 miliardi, per i quali del resto le aziende che otterranno finanziamenti dovranno pagare fino all’1% del costo dell’assicurazione, oltre a dover poi restituire i prestiti. E proprio su questo punto in sede di conversione va allungato al massimo il periodo di restituzione, cioè otto anni, con due di preammortamento, cioè di pagamento dei soli interessi. A prevedere questi tempi massimi è la Ue, quindi non si capisce perché il tempo di restituzione dovrebbe essere solo di 6 anni.
Del resto, chi milita in un partito populista come i 5Stelle, ma ha una sua precisa professionalità e serietà, il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha capito che per le pmi non c’è solo bisogno di prestiti ma anche di iniezione di denaro a fondo perduto, come hanno fatto in Francia e in Germania. C’è da augurarsi che l’idea di Patuanelli vada avanti e che non sia una elemosina (in Germania, la ricca, sono stati dati 9 mila euro sotto i 9 dipendenti e 14 mila sotto i 25). Forse l’ing. Patuanelli ha avuto modo di leggersi il passo dei Promessi sposi pubblicato in apertura.
Naturalmente, gli Stati possono dare quando hanno. Nel caso dell’Italia, lo Stato ha una sola alternativa: indebitarsi di più contando sulla Bce, che nel solco di Mario Draghi è disponibile a comprare tutti i titoli che vengono emessi (la presidente Christine Lagarde lo ha confermato anche giovedì 16). Ma se non vuole correre il pericolo della bancarotta, o meglio di uno spread che arriva al livello della crisi del 2011, deve mettere in gioco una parte del patrimonio pubblico immobiliare.
I lettori di questo giornale sanno di cosa parlo e lo sa benissimo il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che condivide da tempo l’idea del Tagliadebito sostenuto da ItaliaOggi. I tedeschi continuano a ripetere che la ricchezza privata degli italiani è enormemente superiore a quella loro. È vero: solo in liquidità gli italiani, persone e aziende, possiedono 1.400 miliardi di euro. Ma non è necessario fare quello che i tedeschi, gli olandesi e tutti i ricchi paradisi fiscali europei sostengono: cioè una bella patrimoniale. La patrimoniale, sotto mentite spoglie, esiste già e l’ha introdotta il governo Monti proprio per soddisfare la rabbia di tedeschi e compagnucci. Come accade in ogni azienda che abbia dei debiti ma abbia patrimonio o talvolta nelle famiglie dove ci sia qualche componente con liquidità e altri con beni, l’operazione è che le aziende troppo indebitate vendono una parte del patrimonio e con il ricavato paghino i debiti; oppure che un familiare liquido renda meno indebitato un altro familiare comprandogli parte del patrimonio. Lo Stato italiano deve fare lo stesso. Nell’ambito della devoluzione federalista, legge approvata dal centrosinistra e attuata dal centrodestra, lo Stato ha devoluto, senza corrispettivo, immobili per oltre 400 miliardi di euro agli enti locali, regioni, comuni ecc. Nell’ambito del debito pubblico, 400 miliardi sono degli enti locali. Il patrimonio ricevuto in più casi è un costo, di manutenzione ecc. La formula è semplice: gli enti locali dovrebbero conferire a fondi di investimento almeno 200 miliardi di immobili, dimezzando così i loro debiti; lo Stato dovrebbe offrire ai cittadini quote del fondo, che i cittadini pagherebbero con titoli di Stato in loro possesso; titoli che verrebbero annullati, riducendo, così, alla fine il debito pubblico totale. Far vedere al mondo che lo stato italiano non preleva ricchezza con le tasse dalle tasche degli italiani, ma vende parte del patrimonio ai suoi cittadini, avrebbe un effetto triplo: non disperdere il patrimonio dell’Italia; non tassare i cittadini come vorrebbero tedeschi, olandesi ecc. visto che la pressione fiscale in Italia è già altissima; lo Stato mostrerebbe la capacità di tagliare il debito pubblico. Effetti degli effetti, lo spread scenderebbe moltissimo e lo Stato potrebbe emettere altri titoli per avere la liquidità necessaria a rilanciare l’economia. Il collocamento di questi titoli sarebbe sicuro, perché ci sono precise garanzie di acquisto dalla Bce.
Non c’è naturalmente solo la via degli immobili o con essa si potrebbero combinare altre operazioni. La scuola di Paolo Savona suggerisce l’emissione di un prestito irredimibile, cioè senza la previsione di rimborso. Per questa ragione esso non farebbe crescere il debito pubblico e quindi lo spread non andrebbe alle stelle. Il prestito irredimibile potrebbe finire principalmente nei portafogli di assicurazioni, casse previdenziali, ma anche di privati. Lo scopo di sottoscrizione dell’irredimibile è quello di avere un buon rendimento: nel contesto attuale, fra il 2 e il 2,5%. In tempi di inflazione e di rendimenti zero in banca, questo rendimento renderebbe il prestito appetibile. Lo stesso appunto non prevede il rimborso, ma è negoziabile e sicuramente manterrebbe il suo valore. Quindi, chi ne ha bisogno potrebbe venderlo. Come in una situazione migliore di quello attuale, lo Stato potrebbe anche decidere di rimborsarlo parzialmente o tutto, magari con un premio per i sottoscrittori. Il vantaggio di un tale prestito è di garantire in via perpetua il rendimento e appunto di non far crescere il debito pubblico.
Nella visione di Draghi, che ha tracciato il solco alla Bce, potrebbe essere emesso un prestito di guerra della durata di 30 anni. Tutti i prestiti di guerra possono essere rinegoziati, anche con saldi e stralci che ricadrebbero sulla Bce, qualora ce ne fossero le condizioni.
Ma se queste sono soluzioni per avere la liquidità-benzina per rilanciare l’economia sostenendo le aziende e gli individui, non vi è dubbio che ora il decreto Liquidità va modificato in fase di conversione per quanto riguarda le pmi con peccati veniali che devono ottenere prestiti come tutte le altre e in secondo luogo con la garanzia, se non si vuole che il meccanismo si blocchi, che deve essere portata assolutamente al 100%. In modo che le banche facciano solo da sportello. I tempi per evitare un cimitero immenso di aziende sono strettissimi. E il presidente Conte e il ministro Gualtieri non vorranno essere da meno del governatore del Ducato di Milano.

P.S. Gli italiani sono grandi sottoscrittori di fondi, che naturalmente risentono dell’andamento dei mercati borsistici. Per loro dovrebbe intervenire la Bce, affiancando agli acquisti di titoli di Stato e di obbligazioni societarie anche quelli di fondi di investimento, che devono restituire ai sottoscrittori che lo richiedono di veder liquidata la loro quota, naturalmente al valore che il fondo ha in questo momento. In questo modo, anche i mercati borsistici potrebbero risorgere.