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 2020  aprile 18 Sabato calendario

La quarantena di Silvio Orlando

«Mia moglie s’è preso il mio mazzo di chiavi. Non mi fa uscire. Sostiene che sono troppo sbadato. Non vuole neanche che giochi a ping pong coi dirimpettai sull’ampio pianerottolo del caseggiato, dove siamo affittuari d’un istituto religioso. Mi prendo una rivincita suonando alle 18 il flauto professionale, quando l’inquilino di sotto mette l’Inno di Mameli. Ma al di là delle grosse preoccupazioni e angustie, io vivo quest’emergenza anche come un esperimento», confida Silvio Orlando, a Roma, a pochi passi da piazza Farnese, pronto a fare i conti con sé artista non più tallonato da teatro e cinema, avendo alle spalle il suo popolare cardinal Voiello di The New Pope di Sorrentino con elogi del New York Times e di Le Monde.
In che consiste questa sua nuova messa alla prova?
«Mentre dilaga un’epidemia disastrosa, con conseguenze future durissime, penso che se prima non facevamo che correre, adesso siamo costretti a star fermi a riflettere, a progettare senza scadenze sicure, a leggere libri mai ben sfogliati ( Anna Karenina!), a vedere serie tv intelligenti come Unorthodox di Netflix la cui delicatezza cechoviana piace all’unanimità a casa mia. Peccato che quest’estate io e Maria Laura (Rondanini, l’attrice-moglie, ndr) non potremo festeggiare con amici i vent’anni del nostro rapporto, dopo il matrimonio lampo del 2008 davanti a Cacciari».
Lei si conferma poco incline a performance virtuali sui social?
«Mi limito. Ho inviato dei saluti video ai teatri dove era in programma il mio spettacolo Si nota all’imbrunire di Lucia Calamaro. Per fare una chiacchierata di venti minuti con Jovanotti, in un collegamento tra Recalcati e Fiorello, giorni fa ho aperto una pagina Instagram col nome di mio suocero, e poi però l’ho richiusa subito».
Intanto aveva messo in cantiere per il Napoli Teatro Festival diretto da Ruggero Cappuccio un monologo con musiche da "La vita davanti a sé" di Romain Gary, capolavoro letterario che nel 1975 fece vincere il secondo Premio Goncourt all’autore firmatosi con uno pseudonimo, un testo che ha ispirato un film del 1977 con Simone Signoret e un altro diretto da poco da Edoardo Ponti per Netflix con Sophia Loren.
«Io l’ho già affrontato in una lettura al Festival Torino Spiritualità. C’è una forza enorme, una grazia infinita, e il mistero profondo d’un vuoto filiale, che io sento fin da quando persi mia madre a nove anni, nella storia qui di una donna ebrea, Madame Rosa, che in un quartiere multietnico parigino, una Belleville più pericolosa di quella di Pennac, adotta figli di prostitute fino ad allevare come suo erede il ragazzino arabo Momò. La potenza del linguaggio è pari al rimescolarsi di etnie, religioni e modi di vivere di emarginati ed ex coloniali».
E quando lo spettacolo sarà battezzabile al Festival, con slittamento a settembre, che racconto di questa Babele graverà sulle sue spalle?
«Le criticità dell’essere nati dalla parte sbagliata del mondo, le zone buie del diritto al futuro, e le malmesse gambe dell’accoglienza disegnano una pietra angolare che ha dato senso un po’ a tutta la mia carriera. Faranno da interfaccia le sonorità multirazziali d’un sestetto dell’Orchestra di Piazza Vittorio su strutture ideate da Mario Tronco, e ci sarà una messinscena di Leo Muscato».
La sua flemma, il suo disincanto tenero e drammatico come susciteranno emozioni?
«Mi viene in aiuto Romain Gary, l’autore sensibile e incompreso, di cui mi sta a cuore anche il romanzo del suo rapporto con la madre, La promessa dell’alba. Lui, Gary, ne La vita davanti a sé usa la metafora del cinema con immagini e audio al contrario nella sala di doppiaggio dove opera una giovane, Nadine: lì con lo schermo che va indietro quando bisogna lavorare di nuovo su certe scene è come rientrare dalla porta di servizio, tornare un po’ giovani. Viene da pensare alla società d’adesso, dove molti tornano ragazzi e si affacciano entusiasticamente ai balconi. Un livello che arriva a tutti».
Cosa c’è di rinviato, tra i suoi impegni attuali?
«Dovevo andare sul set di Roberto Andò per il film tratto dal suo romanzo Il bambino nascosto, vicenda di genitorialità affine a quella di Gary, stavolta però legata a un’infanzia napoletana nella camorra da cui si fugge, perché Andò (con cui nel 2021 farò a teatro Uccellacci e uccellini), sostiene che i bambini debbano essere strappati dal degrado. L’altro film da fare sarebbe Dall’interno di Leonardo Di Costanzo dove io e Toni Servillo, per la prima volta assieme, impersoniamo un faccia a faccia da guardie e ladri in carcere, lui capo dei secondini, io dei detenuti».
Il destino del teatro, secondo lei?
«Le distanze sociali potrebbero dimezzare le sale. Le cautele degli spettatori non favoriranno una ripartenza veloce. E per le compagnie si prevedono ingorghi di calendario. E forse la spesa per gli spettacoli non sarà prioritaria. Ma se fosse proprio il teatro il vaccino che tutti cercano?».