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 2020  aprile 18 Sabato calendario

La primavera dell’ultimo uomo

Nessuno, ma proprio nessuno. Così fai che anche stamattina prendi e vai, tanto non c’è nessuno, tanto nessuno ti vede. Appunto. Facciamo così, che oggi c’è solitudine solo perché sono il primo uomo; posso pensarlo, davvero, il primo abitatore di questa primavera splendida, lucente, fiorita primavera, madida primavera. Nell’orto sfarfallano i petali dei peri e dei ciliegi, di tra la macchia dei carciofi tramesta e chioccia una fagianella, quasi ci inciampo. Si invola indolente, pesante, sfavillante in controluce, torna a planare alla sua cova; non mi conosce, non sa niente, non sa nemmeno chi è lei, è nata sotto le lampade allo iodio di un allevamento venatorio, l’hanno mollata lo scorso autunno per i cacciatori, i cacciatori qui sono ormai un mucchietto di vecchi con più salame che cartucce nella bisaccia, a mezza mattina hanno già perso i cani, sparano a qualcosa nell’aria e poi si mettono su un cofano di Panda a mangiarsi i salami, ci credo che la fagianella s’è salvata. E ha già imparato a covare, s’è salvato anche un maschio, nasceranno altri fagiani, per quello che ne possono capire saranno i primi fagiani del mondo. E salgo per i campi al Mulinaccio, potrei andarmene nudo, è caldo, chi mi vede, fermarmi al rio e abbeverarmi. Il rio suona, non è il rumore dell’acqua che scorre a fiumana, non piove da un pezzo e l’acqua scivola via lenta e costante, quello che sento è la voce del rio, la sua pura voce, un sussurro; non l’ho mai più sentita da quando ero un bambino, da allora c’è sempre stato qualcuno e qualcosa che suonava più forte.
Nudo come un verme potrei bagnarmi nel pantano, che oggi nel mezzo è limpido, marezzato dei piumini delle canne in fiore, dei petali di pruno. Lì sulla riva ci vive una nutria, lo so e non l’ho mai vista. Perché ogni volta che passo la sento, sento lo sblob della nutria che scivola in acqua, a volte ne vedo la scia, e forse qualcosa sotto il pelo dell’acqua. La nutria è timida, la nutria è furba, non vuole avere storie, non vuole scocciature. Ma questa mattina non sento lo sblob, e la vedo. È lì, ritta sulle zampe tra le canne novelle, le palpita appena il nasone, le vibrisse le fremono un filo, è grossa e ben nutrita per essere di prima stagione, e mi guarda. Se ne sta a guardare rilassata, accondiscendente, aspetta che passi e con calma fa il suo sblob. Cosa penserà di me la nutria del Mulinaccio, che mi conosce da un pezzo e non mi ha mai voluto incontrare, uno di quelli che portano rogne, e oggi non mi teme. Sono onesto e lo so; pensa la nutria, ma chi se ne frega, tanto questo è l’ultimo a passare.L’ultimo a passare, pensa la malvarosa diritta in mezzo alla carreggiata della strada di Sarna, alta già un metro e fiorita di quelle trombe screanzate grandi come bocche, e se mi avvicino sento che lo dice anche, che lo strobetta.
L’ultimo a passare, pensa l’alveare edificato in clandestinità, nottetempo?, negli anfratti del glicine, il glicine madre della nostra casa, nato secoli or sono per radicarla e sostenerla, per darle pacifica ombra e profumo; api transfughe da qualche arnia dedita allo sfruttamento senza requie di ogni loro bene commerciabile, e ora questo popolo mite e pio s’è preso il nostro albero votivo e impazza nella fioritura mai stata così turgida e primaticcia, si dà a una pazza gioia che parer non voglia condividere, c’è un filino di aggressività nelle laboriose apine che mi ronzano giro a giro un po’ troppo insistenti, un po’ troppo accosto agli occhi e alle mani, piuttosto seccate, mi pare, dal sospetto che gli stia rubando anche solo il profumo; l’ultimo che facciamo passare, forse è quello che pensa l’alveare.
L’ultimo a passare, ora lo so che è così che ha pensato la volpe che si è presa la mia cocca dal pollaio ben fatto e ben protetto ier l’altro in pieno giorno, la mia bella prospera cocca che non ha mai saltato un giorno nel pagarmi la sua pigione con un ovetto, turgido e perfetto; non si è peritata la volpe di sbranarsela a due passi da casa, la mia, non la sua, non ha mollato il fiero pasto e non ha battuto ciglio quando le sono andato incontro deciso a strangolarla con le mie mani, e ho tirato diritto, il cuore infiacchito dal peso di un imperativo morale a lei provvidenzialmente ignoto. Era da un po’ che non ne passavano, ma questo è davvero l’ultimo a passare, pensano sollevate le asparagine su per la ripa, alte che mi arrivano alla vita, mentre che ne sfoltisco un bel po’ per la frittata senza l’ovetto della mia cocca, una frittatina con uova consegnate a domicilio. Persino i tulipani che ho reciso perché la casa ne godesse L’ultimo a passare. E mi sono incamminato nel mattino pensando, l’ho davvero potuto pensare, ecco il primo uomo che poggia i suoi piedi in questo nuovo mondo. Ecco, ora può avere inizio la primavera di un immacolato, dolce e luminoso, antropocene. E andando l’ho sentito, io sono questo, sono parte di tutto questo, parente della nutria e del ciliegio, della malvarosa e del fagiano, questa è casa mia come è la casa di tutti loro, e oggi c’è un accordo naturale tra noi, un’alleanza ovvia, siamo la natura, siamo il creato, niente ci distingue davvero, niente ci separa in maniera irreparabile. Idiota, questo magari lo è il primo giorno, ma del nutriacene, del volpicene, dell’asparaginacene, o di quello che vogliono loro, a lor piacere e vanto. E come posso non aver avvertito che in tutto questo fiorire e partorire, in tutta questa ubertosa primavera, nel sovrappiù di ronzare, cinguettare, quisquigliare, fremere e scorrazzare, nell’alzavola che attraversa corso Saffi con i suoi sette anatroccoli al passo, l’ho visto con i miei occhi, si invola un anelito che dovrebbe suonarmi sinistro, sì, un qual spirito di vendetta.
Stamane non ci sono cose nuove nell’aria, nell’acqua e nella terra, è solo l’universo dei viventi, l’antico, saputo universo, che ha finito la sua quarantena, se è un po’ su di giri, se vorrebbe scansarci per riprendere il suo, lo si può ben capire. Presto finiremo la nostra e in quarantena ci ricacceremo tutto il resto, ancora una volta, forse per sempre, il nutriacene avrà poca vita, è previsto. A meno che qualcosa che palpita qui intorno non si incarichi di spiegarci che non è proprio detto. Dicono che un’altra specie, non troppo dissimile dalla nostra ma con maggiore esperienza, intenda soffiarci il tanto agognato primato di specie dominante, nel qual caso i giochi sarebbero ancora tutti aperti, e gli esiti insondabili.